In vista del primo Consiglio europeo straordinario del 2023 – fissato per il 9 e 10 febbraio prossimi, dove è già stato annunciato che si parlerà di migranti con un focus sui rimpatri – e probabilmente in funzione dell’incontro informale dei ministri dell’interno dei 27 paesi, in programma oggi a Stoccolma, la Danimarca ha fatto sapere ieri di aver sospeso i controversi colloqui con il Rwanda sull’esternalizzazione di un centro di asilo dove inviare i migranti in attesa.
La discussa decisione presa dal governo socialdemocratico danese, che aveva votato per introdurre un piano in cui si proponeva che le persone richiedenti asilo presenti nel paese fossero trasferite in centri di accoglienza al di fuori dell’Ue durante il periodo di elaborazione delle loro richieste, si arresta. Non solo, fa quasi marcia indietro. Al contrario di quel che accade, come avevamo scritto, nel Regno Unito.
Il ministro per la migrazione e l’integrazione danese Kaare Dybvad ha infatti dichiarato alla stampa che al momento il governo non sta conducendo “alcun negoziato sull’istituzione di un centro di accoglienza in Rwanda”, sottolineando che “Questo è un nuovo governo. Abbiamo ancora la stessa ambizione, ma abbiamo un processo diverso. Il programma del nuovo governo prevede la creazione di un centro di accoglienza extraeuropeo in collaborazione con l’Ue o altri paesi”.
Un appello, insomma, affinché si dia vita a un coordinamento europeo per il rimpatrio. Proposta in linea con la nuova presidenza europea svedese del Consiglio che ha più volte sottolineato come, all’inizio di qualsiasi altra discussione, si affronterà innanzitutto il tema dei rimpatri.
Un tema che pare diventato urgente, soprattutto alla luce di quelli che sono i dati diffusi recentemente da Eurostat: nel terzo trimestre del 2022, su quasi 110mila richieste di allontanamento, ci sono stati meno di 32mila rimpatri effettivi.
Numeri che si sommerebbero a quelli del 2021, quando, a fronte di oltre 342mila decisioni di respingimento prese complessivamente dagli stati dell’Ue, sono state circa 80mila le persone rimpatriate effettivamente nel loro paese d’origine: meno di un quarto del totale.
Cifre che preoccupano i paesi europei coinvolti, che hanno visto aumentare di oltre il 50% lo scorso anno le domande di richiesta di asilo in Europa (924mila) e che dovranno trovare nuovi accordi con i paesi terzi da cui provengono le persone migranti. Perché nessun rimpatrio può avvenire senza un accordo bilaterale.