Non è soltanto il destino cinico e baro che ha provocato, in questi primi giorni di febbraio, un vero e proprio disastro nel sud del Mozambico. Le inondazioni non sono un fenomeno nuovo per Maputo e provincia, ma quest’anno si è andati ben oltre i limiti degli scorsi anni.
Questa volta la forza della natura, che in tempi recenti aveva fustigato la zona centrale e settentrionale del paese, è stata particolarmente inclemente, e non ha lascito scampo. Il bilancio, per il momento, parla di sei morti, alcuni scomparsi e circa 36mila famiglie sfollate, senza più neanche le precarie abitazioni in cui avevano faticosamente costruito la loro esistenza. Centinaia di capi di bestiame sono andati perduti, i danni in tutta la provincia di Maputo sono incalcolabili.
Di fronte a questa tragedia, peraltro annunciata, si è immediatamente sviluppato un acceso dibattito fra tecnici, politici e comunità internazionale rispetto alle responsabilità di quanto accaduto.
Ciò che più colpisce è l’agenda su cui il paese sta discutendo, sintetizzabile in due aspetti: aiuti umanitari e sistema di allerta e evacuazione. Nel primo caso, proprio in questi giorni, l’Istituto nazionale di gestione e riduzione dei rischi di disastri (Ingd) è sotto gli occhi dei riflettori per presunte pratiche di corruzione. La Banca mondiale, infatti, lo scorso anno aveva sospeso gli aiuti a questo istituto per uso improprio di 470mila euro.
Risorse finanziarie destinate alla mitigazione degli effetti conseguenti a calamità naturali sarebbero state usate per l’acquisto di vetture di lusso e costruzione di infrastrutture non meglio identificate da parte di tre funzionari di questo ente governativo, poi arrestati. La Banca mondiale, anche alla luce del disastro attuale, ha però appena ripreso l’aiuto all’Ingd.
Rincorrere l’emergenza
L’altro elemento all’ordine del giorno riguarda il sistema di allerta preventivo. Una questione certamente seria, che potrebbe salvare vite e beni, e tuttavia legata all’emergenza del fenomeno, e alla gestione dell’appena prima e dell’appena dopo. Pochissimi sono stati gli interventi che mettono il dito sulla piaga: ossia sulla necessità di risolvere strutturalmente il problema.
L’ingegner Leonardo Nhanala, mozambicano e per più di vent’anni in Italia, con laurea in ingegneria civile presso l’Università di Trieste, in un’intervista che ci ha concesso ha indicato alcune priorità che potrebbero aiutare a risolvere il problema alla radice.
Anzitutto, nella città di Maputo la rete fognaria e i canali sotterranei di scorrimento delle acque sono completamente intasati, oltre che vetusti (tutti il sistema è stato costruito nel periodo coloniale, poi non è stato più fatto alcun intervento). Conseguenza: le acque non passano sotto il livello stradale, ma lo invadono, trasformando le principali arterie della città in fiumi in piena.
Occorrerebbe, quindi, ripulire i canali sotterranei di scorrimento delle acque e ripristinare il sistema fognario, per poi completare questo semplice intervento col pompaggio delle acque, in modo da facilitarne lo scorrimento verso il mare.
L’altro elemento che l’ingegner Nhanala ha criticato è la costruzione (inaugurata nel 2021) di un invaso presso Maxaquene C, nella capitale Maputo. Un sistema a suo avviso del tutto inadeguato, poiché è imprevedibile il volume di acqua che un invaso del genere dovrebbe contenere. Infatti, alla prima prova, il sistema non ha funzionato e le acque sono strabordate per tutta la città.
Di fronte agli scenari appena descritti, né il governo né le organizzazioni internazionali sembrano particolarmente interessati nell’attivare quelle misure tecniche, anche semplici e poco costose, che potrebbero fornire risposte efficaci a questi fenomeni naturali estremi.
Una parte del danno è irrimediabile: gli alberi e le aree verdi abbattute in beneficio del cemento non potranno essere ripristinati nel breve periodo; così, l’unica, apparente soluzione sembra essere rincorrere l’emergenza climatica, secondo un percorso parallelo che vedrà scorrere, anche nei prossimi anni, fiumi di soldi insieme a fiumi di acque e fanghi che troveranno la loro sintesi nella parola d’ordine dell’aiuto umanitario.