«Il fenomeno migratorio è legato alla sua narrazione» e quindi alla percezione di quel che spesso però non è. Lo dice alla fine della giornata, la giornalista Laura Silvia Battaglia, ed è una sorta di link che riporta al primo intervento, quello di Vincenzo Cesareo di Fondazione Ismu, di cui si presenta il 28esimo rapporto sulle migrazioni. Un intervento in cui si sottolinea la necessità di «diffondere una cultura delle migrazioni, per meglio comprendere questo fenomeno complesso e strutturale che è presente da anni nel nostro paese. Servono analisi approfondite, senza approcci ideologici ma programmatici, che contrastino le fake news che tanto fanno male a questo tema».
E serve, lo afferma Battaglia, che ci si sfili dalla modalità con cui ci si approccia al fenomeno migrazione: o diatriba politica da talk show o focus su storie cercate per far breccia sull’emotività delle persone. Come se non fossero possibili, dopo quarant’anni, altre modalità, altre persone da sentire, che non siano necessariamente quelle migranti post sbarco, cui rivolgere le solite domande sulla paura, sul viaggio, sulla miseria lasciata.
«Utilizzo di persone che possano portare a ragionare, che sono qui da anni e possono raccontare storie di affermazione, ci sottolinea quanto la gestione di questo tema in maniera ragionata manchi. Da qui anche la responsabilità dei giornalisti e giornaliste di combinare le storie: fare il racconto sul campo, con una massiccia quantità di dati che oramai sono fruibili e che devono essere portati accanto alle storie, per dare la possibilità di comprendere meglio di cosa stiamo parlando».
Una popolazione in aumento
A raccontare di cosa stiamo parlando è per l’appunto Livia Ortensi, responsabile del settore statistico di Ismu, che spiega come, in «questo secondo anno post-pandemia, il numero delle persone di origine straniera è tornato ad aumentare. Al primo gennaio 2022 in Italia erano presenti poco più di 6 milioni di persone straniere, che rappresentano il 10% della popolazione residente italiana. 88mila in più rispetto al 2021. 6milioni di persone come presenze regolari e strutturate. Le persone richiedenti asilo o quelle irregolari, di cui tanto si parla, sono una realtà minoritari e non caratteristica popolazione».
Anzi proprio questi ultimi sono in calo. «Grazie ai primi lentissimi risultati della sanatoria del 2020, che con fatica mostra effetti sulla dinamica di regolarizzazione. Ci si attesta su 506mila persone. Una riduzione che continua nel tempo, è destinata a crescere. Così come sta crescendo il numero dei permessi di soggiorno, aumentati del 127%. Un valore più del doppio rispetto all’anno precedente che ancora subiva gli effetti del tempo covid. Raddoppiano anche i permessi di studio, ancora sotto il periodo pre-covid (18mila) e quelli famigliari (22mila).
Di fatto sei stranieri su dieci provengono da paesi terzi. C’è stata una ripresa degli ingressi per motivi umanitari aumentata, soprattutto con la guerra in Ucraìna, che ha creato un flusso che era impossibile prevedere e che conta 4milioni 863mila persone in tutta Europa. 172mila solo verso Italia, per lo più donne (84%) e minori (36,1%) al 24 febbraio. Tanti, 5.042, i minori non accompagnati ucraini. E, dato inedito per questa categoria, per il 50% ragazze, quando solitamente era una presenza per lo più maschile.
Ripresa degli sbarchi
Dopo un tempo di stallo, dovuto alla pandemia, nel 2022 sono ripresi gli sbarchi, con dinamica diversa da quella della precovid. «Una migrazione – racconta Ostensi – sospinta per lo più dai paesi nordafricani, che parte da Libia e Tunisia. E che in questo inizio 2023 vede cambiare anche i paesi di provenienza, ora Guinea e Costa d’Avorio, dovuto probabilmente alle forti tensioni anti immigrati che si registrano in Tunisia». Oltre 105mila gli arrivi via mare nel 2022, un più 55,8%. Cui si devono aggiungere gli ingressi via terra, in particolare dalla Slovenia. Tra inizio gennaio e ottobre 2022 si contavano circa 8mila ingressi.
Rimane ancora molto alta la mortalità delle rotte che conducono all’Italia. Secondo i dati Iom, dal 2014 sarebbero 25.983 le persone morte nel Mediterraneo. 20.430 solo nel Mediterraneo centrale, che si conferma, ancora una volta la rotta più pericolosa.
«La complessità del fenomeno migratorio – spiega Cesareo – chiede che si parta dal contesto e dalle cause di origine, che si studino i paesi di transito, fino ad arrivare al processo di approdo, accoglienza e integrazione ma anche di rientro, per chi torna al proprio pase di origine. La realtà richiede più letture se si vuole comprendere quel che accade. E richiede anche il coinvolgimento delle comunità delle diaspore, importante realtà da coinvolgere come risorsa nei processi di integrazione».
Il mondo del lavoro
Spostando lo sguardo a quella che è l’occupazione della popolazione straniera residente, il rapporto sottolinea la cronica incapacità di programmare flussi regolari, nonostante l’evidente importanza di questa presenza nel nostro paese. «Senza immigrazione non potremmo essere il paese che siamo oggi. Se l’immigrazione non viene valorizzata e gestita, finisce per costituire un problema. Occorrono riforme che gestiscano il fenomeno migratorio economico», secondo Cesareo.
Nonostante lo sguardo corto dei governi che si susseguono, la popolazione che risiede in Italia ha mostrato una resilienza e un tasso di attività in crescita per quel che riguarda il mondo del lavoro. Il tasso occupazionale straniero è infatti cresciuto in maniera più sostenuta rispetto a quello della popolazione italiana. Grazie soprattutto alle donne, che comunque registrano ancora oltre 4 punti percentuali sotto rispetto al periodo pre-covid. Le donne straniere sono quelle che più hanno pagato la pandemia a livello lavorativo.
Il diritto alla casa e alla sanità
Accanto al problema del lavoro vi è quello della povertà e dell’accesso ai diritti sociali. Nel 2021, la povertà assoluta, secondo i dati Istat, riguarda il 30,6% delle famiglie composte da sole persone straniere. Un dato che registra quasi quattro punti percentuali in più rispetto al 2020 e oltre 5 volte maggiore rispetto a quello registrato tra le famiglie italiane.
A questo si aggiunge, anche quando si ha il lavoro regolare, il difficile accesso per le persone di origine straniera al diritto alla casa, che segnala come occorrano delle politiche integrative. Così come la necessità di una garanzia di accessibilità al diritto alla salute: molte persone rimangono prive della registrazione al sistema sanitario nazionale, per diversi fattori di natura socio culturale ed economica. Un esempio chiaro e lampante è stata la difficoltà di usufruire del test diagnostico del Covid 19.
Sui banchi di scuola
Passando poi alla popolazione più giovane, nell’anno 2020/2021, si assiste per la prima volta da circa 40 anni a una diminuzione del numero degli alunni con background migratorio: circa 865mila, con una flessione di 11.413 rispetto al precedente anno scolastico. Un dato che si allinea con il costante declino numerico della popolazione scolastica italiana, in cui di fatto però la quota degli alunni e alunne con background migratorio rimane pari al 10,3% del totale.
Sono solo il 18,5% le scuole italiane a oggi non toccate dal fenomeno migratorio. Nell’anno scolastico 2020/21 il 74,6% delle scuole era sotto il 30% di presenza di origine straniera in classe. Origine che è per lo più genitoriale, se si considera il dato che il 66,7% dei minori senza cittadinanza sono comunque nati in Italia.
Con la pandemia si è visto anche il distacco di possibilità tra chi siede sui banchi di scuola, è infatti aumentato il divario delle diseguaglianze. «Il nostro sistema scolastico – commenta Cesareo – ha varie luci e ombre, che vanno dal primo inserimento scolastico all’apprendimento dell’italiano. Ombre per cui servono alleanze educative tra scuola, famiglie, enti e terzo settore. Occorrono misure di supporto allo studio, di accompagnamento alla scolarizzazione. Soprattutto alla luce del fenomeno dell’abbandono degli studi, realtà da contrastare».