Mentre 40, tra associazioni e ong, depositano presso la procura di Crotone un esposto sulla tragedia di Steccato di Cutro dello scorso 26 febbraio, in cui chiedono di indagare per naufragio e omicidio colposo, rifiuto d’atti d’ufficio e omissione di soccorso dal codice della navigazione e dal codice penale militare, e sette salme partono per il cimitero di Borgo Panigale, dopo la protesta di tanti famigliari contro l’arbitraria decisione di spostamento coatto di tutte le vittime verso Bologna, ieri si è svolto, a Cutro, il Consiglio dei ministri voluto dal governo.
La seduta ministeriale tanto annunciata partorisce un provvedimento dal titolo “Disposizioni urgenti in materia di flussi di ingresso legale dei lavoratori stranieri e di prevenzione e contrasto all’immigrazione irregolare” che promette inasprimenti contro i cosiddetti scafisti e una maggior apertura verso i permessi di soggiorno e gli arrivi autorizzati tramite i decreti flussi.
La parte riservata a chi si mette alla guida delle carrette del mare non fa alcun distinguo tra scafisti e trafficanti, in un unico calderone annuncia un inasprimento delle pene dell’articolo 12 del testo unico della legge dell’immigrazione, con una sorta di aggravante, una nuova fattispecie di reato che aumenta da 20 a 30 anni di reclusione la pena per chi provoca la morte o le lesioni di più persone.
Con un’ulteriore novità che riguarda, ha affermato il ministro della giustizia Carlo Nordio, l’allargamento di giurisdizione penale dello stato italiano. Cioè se la condotta risulta diretta all’ingresso illegale nel nostro paese, il reato è punito secondo la legge italiana, anche quando la morte e le lesioni si verificano fuori dal territorio.
Una decisione questa, che non tiene conto (come mostrato proprio da uno dei ragazzi fermati per il recente naufragio) che spesso coloro che vengono chiamati “scafisti” non sono altro che migranti messi a timonare le imbarcazioni. Persone che pagano lo stesso viaggio e vivono le stesse condizioni di disperazione.
A raccontare tutto questo, nel 2021, era stata una pubblicazione di Arci Porco Rosso, Dal mare al carcere, che, tra le pagine e le centinaia di testimonianze e sentenze aveva mostrato, dati alla mano, cosa e chi sono questi “capitani forzati”.
Persone che, nella maggior parte dei casi, non lavorano per reti criminali, che spesso sono costrette a prendere il comando o lo fanno, durante la navigazione, per necessità. Il fatto poi che in questi ultimi anni sia aumentata la criminalizzazione verso questi uomini, spesso condannati con pene che già arrivano a 20 anni (perché nel nostro ordinamento esiste la fattispecie di “morte come conseguenza di altro delitto doloso”), non ha contribuito a far diminuire il numero delle partenze.
Basti pensare che dal 2013 al 2021 sono stati oltre 2.500, secondo la stima dell’associazione, i procedimenti penali a carico di “scafisti”. 264 i procedimenti accertati nel 2022.
Decreto flussi e permessi di lavoro
Altro versante quello degli arrivi e dei permessi. Mentre la presidente del consiglio Giorgia Meloni ha annunciato una restrizione della protezione speciale, introdotta nel 2018 dal decreto Salvini che aveva così cancellato (non senza causare grandi difficoltà alle commissioni) i permessi per motivi umanitari; il ministro dell’interno Matteo Piantedosi ha assicurato che il decreto prevederà rinnovi dei permessi di soggiorno per contratti di lavoro subordinato a tempo indeterminato, mentre quelli per lavoro autonomo o ricongiungimento famigliare vedranno aumentare la loro durata dagli attuali due anni a tre.
Sull’ulteriore fronte, quello degli arrivi regolari, gestiti attraverso i cosiddetti decreti flussi, che programmano ingressi di lavoratori e lavoratrici a seconda delle necessità del mercato occupazionale.
Il decreto annunciato dal Cdm prevede una programmazione triennale (di numeri ancora sconosciuti) e quote riservate a quegli stati che collaborino alla lotta contro i trafficanti e promuovano delle campagne mediatiche sui rischi che si corrono durante i viaggi gestiti dai trafficanti.
Come nell’attuale decreto poi, si prevedono misure preferenziali per chi abbia seguito nel proprio paese d’origine corsi di formazione che il nostro governo riconosce.