I paesi che importano il maggior numero di armi per uso militare dall’Italia non sono gli alleati dell’Unione europea o della Nato, ma una cerchia di regimi repressivi che da anni ne fanno incetta per le loro guerre per procura o per soffocare il dissenso interno.
A mettere ordine tra le voci sommerse dell’export militare italiano è il libro Il Paese delle armi. Falsi miti, zone grigie e lobby nell’Italia armata (Altreconomia), scritto da Giorgio Beretta, analista del commercio di sistemi militari e di armi leggere, e realizzato insieme all’Osservatorio permanente sulle armi leggere e le politiche di sicurezza e di difesa di Brescia.
Nelle 160 pagine del volume non mancano i riferimenti all’Africa, e in particolare all’Egitto e alla Libia dell’era Gheddafi. Nel 2010, ai tempi in cui al governo del Cairo sedeva ancora Hosni Mubarak, risale la fornitura di 2.450 fucili d’assalto automatici SCP70/90 della ditta Beretta, corredati di 5.050 parti di ricambio. Da lì le forniture sono proseguite nel 2012, con al governo il leader dei Fratelli Musulmani Mohammed Morsi, e lievitate con l’avvento al potere di al-Sisi dopo il golpe dell’estate 2013.
Tra agosto e settembre del 2014 al paese nordafricano sono andate ben 30mila pistole. «Una fornitura avvenuta nonostante il 10 febbraio dello stesso anno i ministri degli esteri dell’Unione europea avessero riconfermato la decisione assunta nell’agosto del 2013 di “sospendere le licenze di esportazione all’Egitto di ogni tipo di materiale che possa essere utilizzato per la repressione interna”», scrive l’autore.
Mentre nel 2021, «nonostante la disputa tra l’Italia e le autorità egiziane riguardo ai responsabili del brutale omicidio del ricercatore Giulio Regeni, alla Beretta è stata autorizzata la spedizione in Egitto di altri 96 fucili d’assalto ARX-160 (…) e di una settimana di corso di formazione». A dimostrazione del fatto che il sequestro, le torture e l’uccisione del ricercatore italiano, oltre allo stallo giudiziario, non hanno mai incrinato i rapporti di buon vicinato tra Roma e Il Cairo.
Prima dell’inizio delle Primavere arabe, tra i principali clienti delle aziende italiane produttrici di armi c’era anche il dittatore libico Muhammar Gheddafi. Nel 2009 dall’Italia alle sue forze di sicurezza arrivarono 7.500 pistole semiautomatiche PX4 Storm, 1.906 carabine semiautomatiche CX4 Storm e 1.800 fucili Benelli, tutti prodotti della azienda Beretta, esportati via Malta. «Sebbene dirette al rais libico, queste armi furono esportate come “armi comuni”», ovvero non militari, sottolinea l’autore. Custodite in gran parte nel bunker di Bab al Aziziya, sarebbero poi finite nelle mani degli insorti che nell’agosto del 2011 penetrarono nel compound del rais libico.
Le armi italiane che non vengono acquistate direttamente da governi africani, in Africa ci finiscono comunque attraverso quegli stati che nel continente alimentano conflitti per allargare le proprie sfere di influenza. Il caso più emblematico è, di nuovo, quello della Libia. Tra i committenti dell’Italia ci sono proprio quei paesi che sostengono Tripoli da una parte (Qatar e Turchia) e Bengasi dall’altra (Emirati Arabi Uniti e Arabia Saudita).