Comincerà domenica 26 marzo e si concluderà sabato 1 aprile la visita di Stato della vicepresidente americana Kamala Harris in Africa. Tre i paesi in programma. Si comincia con il Ghana – probabilmente non a caso visto la forte presenza della diaspora afroamericana in questo paese – per poi proseguire in Tanzania e Zambia. La vicepresidente incontrerà rispettivamente i tre presidenti: Nana Akufo-Addo, Samia Suluhu Hassan, Hakainde Hichilema.
Un evento non eccezionale, in realtà, visto che fa seguito a precedenti incontri – quello della segretaria al tesoro Janet Yellen, quello dell’ambasciatrice presso le Nazioni Unite Linda Thomas-Greenfield e del segretario di Stato Antony Blinken – ed è preludio alla visita annunciata del presidente Joe Biden che dovrebbe recarsi nel continente entro la fine dell’anno.
Qualcuno insiste sul fatto che l’eccezionalità della visita risiede nel fatto che la Harris sarà osservata come la prima vicepresidente nera a recarsi in visita ufficiale in Africa. Ma in verità la Harris, che ha origini indiane e giamaicane, in Africa non è tanto percepita come frutto dell’eredità nera sparsa nel mondo, ma come la leader di una nazione potente e prosperosa. Non meno dei suoi colleghi maschi.
Detto questo, la sua visita ha lo scopo evidente di rafforzare i legami degli Usa con il continente dopo decenni di lontananza o di una presenza legata soprattutto ad aspetti securitari. A rimettere tutto in discussione la consapevolezza che la concorrenza globale, soprattutto quella con la Cina, ha finito per lasciare fuori potenze come gli Stati Uniti, appunto, che nel frattempo guardavano altrove, in special modo al Medio Oriente.
Rapporti paritari
A cambiare la rotta, nel dicembre scorso, è stato il vertice Usa-Africa. Una tre giorni davvero intensa con delegati e presidenti provenienti da 49 paesi africani e con la partecipazione di uomini d’affari e leader della società civile. Un summit aperto all’insegna delle parole di Biden «Il successo dell’Africa è il successo del mondo» in netta controtendenza rispetto alla politica del suo predecessore, Donald Trump, allo slogan “America first” e all’idea delle nazioni africane come “shithole countries”.
Ecco, tutto questo sembra essere alle spalle, completamente ribaltato dalla nuova strategia nei confronti dell’Africa subsahariana elaborata da Judd Devermont, assistente speciale del presidente e direttore per gli affari africani presso il Consiglio di sicurezza nazionale. È stato proprio lui ad affermare recentemente: «Se vogliamo risolvere i problemi nel mondo, se vogliamo trovare soluzioni creative, allora dovremo farlo con i nostri partner africani».
Una strategia, dunque, che intende riportare la politica statunitense in Africa su basi come la prosperità economica, la promozione della democrazia, l’adattamento climatico, l’avanzamento tecnologico, l’emancipazione economica delle donne e la sicurezza alimentare. Con uno sguardo particolare rivolto ai giovani, come ha voluto sottolineare la stessa Harris durante gli incontri statunitensi.
Quello che è stato costantemente ripetuto durante i meeting di dicembre e poi nei mesi e negli incontri successivi è che il punto di partenza di ogni decisione presa da questo momento in poi non sarà dettata dal «cosa possiamo fare per l’Africa, ma cosa possiamo fare con l’Africa».
I leader del continente sono ampiamente consci di una sorta di conflitto geopolitico che li vede coinvolti, conflitto svelatosi di fatto quando la Russia ha invaso l’Ucraìna. E che vede gli Usa “ritornare” in una prospettiva diversa. Anche se, comunque, nei mesi scorsi non si sono risparmiati critiche ad una Cina presentata come avida e senza scrupoli e a una Russia che con i suoi mercenari Wagner sta portando ulteriore instabilità e violenza nei paesi dove è presente.
Insomma, negli ultimi due anni l’Africa subsahariana è stata al centro di corteggiamenti del mondo occidentale, compresa l’Europa, che hanno anche giocato a suon di propaganda con il fine di screditare questo o quel competitor. Il comun denominatore è quello di presentarsi come partner, il partner migliore, in una relazione che dovrebbe vedere l’Africa e i suoi leader come interlocutori alla pari e non più oggetto semplicemente di piani di aiuto e di sviluppo, magari non condivisi.
Prosper Africa
Due, dunque, sembrano i livelli di azione e di presenza strategica che gli Stati Uniti stanno cucendo attorno a questo nuovo tipo di relazioni. Uno è l’aspetto diplomatico – e lo abbiamo recentemente visto con la visita del segretario di Stato Blinken in Etiopia. L’altro è quello dello sviluppo economico e dunque di partenariati win win.
A questo proposito si spera negli effetti che avrà uno specifico programma, si chiama Prosper Africa. L’iniziativa mira a mettere a disposizione uffici specifici governativi ad aziende e investitori pronti a guardare ai mercati africani.
L’idea è quella di agevolare condizioni per gli investimenti in tutti quei settori che nel continente rappresentano forti potenzialità di crescita. Una sorta di accompagnamento e di aiuto alle imprese che vogliano espandere le loro aziende su territorio africano. Una nuova iniziativa che però mette già in mostra storie di successo e un totale di 1.100 accordi già siglati.
L’impronta commerciale dei nuovi rapporti tra investitori statunitensi e necessità di mercato africane è data anche dall’idea di Biden di creare un Corpo commerciale degli Stati Uniti, corollario dei Peace Corps. Ne farebbero parte neolaureati o volontari in pensione inviati nei mercati emergenti per lavorare a fianco di Prosper Africa.
L’idea è stata presentata non solo come programma di business ma come una sorta di “diplomazia interpersonale”, un supporto al personale del governo degli Stati Uniti in tutto il continente.
Quanto questi cittadini/diplomatici con acume per gli affari e particolari competenze si trasformerebbero in “sentinelle” è difficile al momento prevederlo. Molti i settori di cui sollecitare la crescita, soprattutto quelli creativi: dall’industria tessile a quella del cinema; dall’industria musicale a quella della tecnologia.
L’asso diaspora e afroamericani
La parola d’ordine, comunque, è dare priorità alle partnership ed evitare di presentarsi con pacchetti già pronti o investimenti a fondo perduto. Abbandonare la logica degli aiuti per abbracciare quella dell’interesse comune e condiviso sembrerebbe oggi la nuova strada degli Stati Uniti.
Tra l’altro un tipo di discorso che è diventato mantra comune per tutte le potenze che condividono l’interesse e la presenza nel continente. Nessuna esclusa. Un punto di forza degli Usa però potrebbe essere la diaspora africana, solo in America circa 47 milioni di persone.
Già nel corso della tre giorni di dicembre Biden aveva posto l’accento sul ruolo degli afroamericani come elemento distintivo e arricchente dei legami Usa-Africa tanto da decidere che dovranno diventare un fulcro della politica statunitense nei confronti del continente.
È per questo che è nato il cosiddetto Consiglio consultivo del presidente sull’impegno della diaspora negli Stati Uniti, iniziativa che di fatto segue le orme di un Consiglio analogo puntato sul business in Africa, istituito a suo tempo dall’amministrazione Obama e che dovrebbe aiutare a garantire che la diaspora abbia un posto al tavolo nella definizione della politica statunitense nei confronti del continente.
Insomma, ora la diaspora si trasforma in risorsa da utilizzare per stabilire ed assicurarsi relazioni proficue con il continente, sperando così – proprio grazie a tutti quegli uomini e donne frutto della tratta atlantica – di ottenere un posto privilegiato nelle numerose e multiformi relazioni che l’Africa sta costruendo negli ultimi anni e che la vedono protagonista assoluta degli interessi globali.
Intanto, almeno 1.500 afroamericani dal 2019 si sono trasferiti in Ghana a seguito della campagna del governo “Year of return”. Individui che rappresentano potenzialità di rapporti nuovi che passino dalle singole persone prima che dai governi. Dopotutto la Casa Bianca in anteprima del viaggio della Harris ha voluto proprio puntare sulla natura degli incontri che la Harris ha in programma.
Nel corso del suo viaggio nei tre paesi africani, “il vicepresidente rafforzerà i legami interpersonali e si impegnerà con la società civile, inclusi giovani leader, rappresentanti delle imprese, imprenditori e membri della diaspora africana” ha scritto in una nota l’addetto stampa Kirsten Allen.
A margine vogliamo ricordare l’incontro del presidente cinese Xi Jinping con Putin qualche giorno fa a Mosca dove contemporaneamente si è svolta la seconda Conferenza parlamentare Russia-Africa con delegati arrivati da 40 paesi del continente africano. Incontro che ha inteso sottolineare, ancora una volta, la costruzione di rapporti di scambio e mutuo interesse. Tutto questo nell’ottica dei fatti, non delle parole. A partire dal condono di 20 miliardi di debiti. E a luglio ci sarà un secondo vertice tra Mosca e l’Africa.
La nuova guerra fredda tra Usa e Russia sul suolo africano è appena cominciata.