Il Dipartimento di stato americano traccia un quadro desolante dei diritti umani in Algeria, con il regime che ha messo in atto tattiche brutali per mettere a tacere il dissenso, tra cui la detenzione preventiva, la tortura, le accuse di terrorismo e l’imbavagliamento della libertà di parola.
Il rapporto annuale del Dipartimento di stato sulle pratiche dei diritti umani, pubblicato a marzo, inizia mettendo in discussione l’atmosfera delle elezioni, inficiate da restrizioni delle libertà civili e «mancanza di trasparenza nelle procedure di conteggio dei voti», sottolineando la bassa affluenza alle urne che ha portato al potere il presidente Tebboune, nonostante le proteste popolari per una netta rottura con il regime militare.
I casi di tortura abbondano nella “nuova Algeria” del generale Saïd Chengriha: il rapporto cita molti casi, tra cui quello dell’attivista Mohamed Benhalima, torturato, picchiato e abusato sessualmente dalle autorità durante la sua detenzione. Eppure, non c’è stata alcuna indagine ufficiale su questi trattamenti degradanti.
Benhalima aveva denunciato la corruzione nell’esercito all’inizio del 2019, mentre viveva in esilio in Spagna a seguito della sua partecipazione al movimento di protesta Hirak.
Tra i casi citati dal rapporto c’è pure quello dell’attivista Abdelhamid Bouziza, rapito dalla sua casa di Tlemcen il 19 ottobre.
«Le autorità non hanno parlato della sua detenzione fino all’8 novembre, quando hanno annunciato che era detenuto nella prigione di Hay El Darwich a Blida con l’accusa di terrorismo».
Le accuse di terrorismo sono state utilizzate su misura per mettere a tacere i dissidenti: «Le autorità hanno citato ampie disposizioni del codice penale, tra cui l’appartenenza a un’organizzazione terroristica, per arrestare o punire i critici, compresi i giornalisti e i difensori dei diritti umani».
A febbraio 2022, il Middle East Institute (Mea) ha riferito che 59 detenuti sono stati trattenuti in base ad accuse estese di terrorismo previste dal codice penale, che secondo il Mea venivano imposte a «pacifici attivisti politici».
Secondo molte realtà che si occupano di diritti umani, i prigionieri politici in Algeria superano i 300, tra cui giornalisti, avvocati, esponenti dell’opposizione e manifestanti di Hirak.
Il regime algerino ha anche messo a tacere la stampa, mandando in carcere giornalisti influenti come Ihsane El Kadi, direttore e fondatore di Radio M e del sito d’informazione indipendente Maghreb Émergent solo per aver espresso opinioni che criticavano il regime.
Il rapporto del Dipartimento di stato americano denuncia anche le violazioni che colpiscono i rifugiati e i gruppi vulnerabili: «Gli algerini neri e i migranti dell’Africa subsahariana sono stati discriminati e soggetti a razzismo», si legge nel rapporto.