Fare informazione, fare i giornalisti nel Sahel sta diventando sempre più difficile. Tanto che l’ultimo rapporto di Reporters sans frontières (Rsf) afferma che la fascia saheliana rischia di diventare «la più grande zona di non informazione dell’Africa.
L’organizzazione non governativa, la cui sede principale è a Parigi, ha preso in esame Burkina Faso, Mali, Niger, Ciad e anche il nord del Benin (tutte ex colonie della Francia). E ha constatato che la stampa locale e internazionale è alle prese con un «costante degrado» delle condizioni di lavoro.
È di questi giorni l’espulsione dal Burkina Faso delle giornaliste francesi Sophie Douce (Le Monde) e Agnès Faivre (Libération).
Da dieci anni a questa parte, da quando cioè è iniziata l’offensiva dei gruppi jihadisti, i giornalisti sono tra due fuochi: da un lato la difficoltà o l’impossibilità di muoversi nei territori controllati dai gruppi armati e dunque di raccogliere informazioni, dall’altro le restrizioni imposte dalle autorità che in alcuni casi (Burkina Faso, Mali, Ciad) sono al potere in seguito a colpi di stato militari.
Spiega il rapporto che, tra il 2013 e il 2023, sono stati uccisi 5 giornalisti e altri 6 sono stati sequestrati senza lasciare traccia. Sempre nel periodo, sono finiti in carcere 120 giornalisti (72 nel solo Ciad), a segnalare che i regimi saheliani hanno tra le loro priorità quella tenere sotto controllo i media.
Un altro aspetto del degrado dell’informazione è la progressiva scomparsa delle radio comunitarie che sono molto ascoltate: i jihadisti cercano di farle aderire alla loro causa e quando incontrano resistenze le eliminano.
Secondo il rapporto, la pressione esercitata sulla stampa in nome di una «impostazione patriottica» dell’informazione favorisce «un giornalismo agli ordini» e l’autocensura su temi sensibili come le attività del gruppo militare privato Wagner, vicino al presidente russo Putin, o le perdite che i jihadisti infliggono all’esercito.
La situazione è critica e tuttavia c’è chi reagisce. Alcune redazioni hanno sviluppato servizi di “fact checking”, cioè la verifica sistematica delle dichiarazioni delle autorità politiche o in generale delle notizie diffuse nello spazio pubblico. In questo modo progetti come Mali Check, Africa Check o DésinfoxTchad affrontano la disinformazione.