La situazione ha dell’inedito nel paese. A 10 mesi dalle elezioni presidenziali del febbraio 2024, elettori ed elettrici senegalesi non sanno ancora chi sarà il candidato dei partiti e delle coalizioni principali. L’incertezza regna in casa del partito del presidente della Repubblica Macky Sall, che continua a temporeggiare sulla sua intenzione di candidarsi.
Diversamente dubbiosa è la situazione del principale leader dell’opposizione Ousmane Sonko, la cui eleggibilità è appesa all’esito di un processo in cui è imputato per stupro. Altri due candidati di peso sono invece al momento ineleggibili a seguito di condanne giudiziarie, ma potrebbero tornare a potersi candidare. È il caso di Karim Wade, capo in esilio del Partito Democratico Socialista (PDS) e di Khalifa Sall, ex sindaco di Dakar e capo di una coalizione di partiti. Un’amnistia da promulgare entro fine mese (discussa, ma tutt’altro che certa) potrebbe rimetterli nella competizione elettorale. L’unico punto fermo in questo quadro è la crescita del rifiuto alla prospettiva del terzo mandato di Macky Sall. Da domenica scorsa, vi si oppone un nuovo attore: la piattaforma F24. Al suo interno troviamo partiti d’opposizione (tra cui quello di Sonko) e associazioni di peso della società civile, come Y’en a Marre. La piattaforma riecheggia il M23, nato a sua volta per opporsi al terzo mandato dell’allora presidente Abdoulaye Wade alle presidenziali del 2012. La situazione è dunque in piena strutturazione. Approfittiamo per fare il punto, un candidato (aspirante o potenziale) alla volta.
Sall: lo fa o non lo fa?
L’attuale presidente Macky Sall, al potere dal 2012, continua a tenere in ostaggio l’intera nazione con dichiarazioni sibilline riguardo ad una sua nuova candidatura. Sarebbe un mandato di troppo, gli rimproverano gli oppositori, costituzione alla mano. Sarebbe solo il mio secondo, sostiene lui via stampa francese, argomentando che la riforma della costituzione del 2016 ha fatto ripartire la conta dei mandati da zero. E così, a restare in uno stato di suspense sono sostenitori e detrattori del suo partito, l’Alleanza per la Repubblica e della coalizione di cui fa parte, la Benno Bokk Yakaar (BBY). Ad ogni modo, più ritarda la decisione, più sarà il tempo a incaricarsi di diradare le nebbie. Non essendoci l’ombra di un delfino all’orizzonte, sembra ormai alquanto improbabile che ne venga fabbricato uno in versione express.
Ousmane Sonko: un processo di troppo
Sul fronte opposizione, i candidati volenterosi non mancano. A frenare i loro entusiasmi sono delle beghe con la giustizia. Sono processi politicamente motivati, dicono loro. Sono processi sacrosanti, obiettano i filo-governativi. Fatto sta che il principale rivale di Sall, Ousmane Sonko leader del partito Pastef-les Patriotes e della coalizione Yewii Askan Wi, è alle prese con due cause giudiziarie. In una è stato condannato in primo grado a due anni di libertà condizionale e ad una multa di 305 mila euro. Motivo: aver dichiarato che il Ministro del Turismo Mame Mbaye Niang era “inchiodato” da un report sulfureo – la cui autenticità è oggetto di discussione per una questione di corruzione.
Non pago della vittoria in tribunale, Niang vuole ottenere una pena più pesante per Sonko e lo ha trascinato in appello. L’udienza doveva aver luogo lunedì 17 aprile, ma è stata rinviata all’8 maggio. Ad ogni modo, anche un’eventuale condanna non potrà arrivare là dove si temeva arrivasse al primo grado: l’ineleggibilità di Sonko. Uno scenario che in questi mesi ha fatto agitare le piazze senegalesi. Il 20 marzo un manifestante è rimasto ucciso durante scontri con le forze dell’ordine. Ma è il secondo processo quello che tiene ancora appeso il futuro di Sonko e dei suoi elettori. L’accusa qui si fa più pesante: stupro di una dipendente di un salone di bellezza. Se riconosciuto colpevole, l’ineleggibilità sarà inevitabile.
Karim Wade: la disdegnata amnistia
L’opposizione è in fermento non solo per la questione Sonko. Anche il fu glorioso Partito Democratico Socialista (PDS) batte un colpo. A farlo è il suo leader: Karim Wade, figlio di cotanto padre Abdoulaye. Karim è tornato a far parlare di sé lunedì, mostrandosi fiero e contento di depositare la sua domanda di re-iscrizione alla lista elettorale in una Commissione amministrativa in Turchia. Perché deve re-iscriversi e perché in Turchia? Perché vive in una sorta di esilio dorato lì nei dintorni, in Qatar per la precisione, dal 2016. Su di lui pende in patria un’ammenda astronomica di circa 210 milioni di euro. È quello che rimane di una condanna per corruzione arrivata nel 2015 e per cui ha già scontato 3 anni di reclusione in Senegal.
Negli ultimi anni, ci sono state aperture da parte di Sall sulla possibilità che possa tornare a candidarsi. Che ce la faccia per la tornata elettorale di febbraio 2024 è tutto da vedere. Per molti osservatori, i tempi sono troppo stretti. La Commissione elettorale ha tempo fino al 2 maggio per valutare le nuove richieste d’iscrizione. Affinché quella di Wade possa essere accettata, la via più breve sarebbe quella dell’amnistia presidenziale. Qui le cose si complicano ulteriormente, perché Wade rifiuta categoricamente di riceverla. Non per auto-sabotaggio, ma perché beneficiarne significherebbe riconoscere la paternità del reato imputatogli. Mentre lui chiede da anni di riaprire un processo per essere riabilitato in sede giudiziaria.
Ritorno alla carica di Khalif Sall
Situazione simile per un’altra figura chiave dell’opposizione: Khalifa Sall, ex sindaco di Dakar, leader della coalizione di sinistra Taxawu Dakar. Quest’ultima è emersa dalle elezioni legislative dell’agosto scorso come la seconda forza di opposizione in parlamento.
Al pari di Wade (Karim), ha speso parte di una condanna per corruzione in prigione prima di essere scarcerato tramite una grazia presidenziale, ma per tornare a potersi candidare deve godere di un’amnistia o di un nuovo processo che lo provi innocente.
A differenza di Wade invece (sempre Karim), non è contrario a ricevere l’amnistia.