L’aggravarsi della crisi in Sudan è vista con molta preoccupazione nella regione, già tra le più instabili del pianeta. «La situazione in Sudan è un grave pericolo per la sicurezza nel Corno d’Africa» ha dichiarato ad Al Jazeera Ovigwe Eguegu, analista politico di Development Reimagined, gruppo di consulenza internazionale con sede in Cina.
Ma l’impatto del conflitto potrebbe essere ben più esteso. Il Sudan, infatti, è uno stato cerniera tra Africa saheliana e subsahariana, ma anche tra Africa e Medio Oriente. Da sempre risente delle tensioni ai suoi confini ed esporta le proprie.
Conta su una rete di rapporti estesa e variegata che in questo periodo – di trattative per rimettere in moto la transizione democratica interrotta dal colpo di stato del 25 ottobre 2021 prima, e poi allo scoppio del conflitto tra l’esercito regolare e il corpo paramilitare delle Forze di intervento rapido (Rsf) – si è impegnata attivamente e spesso non in modo indipendente, ma a sostegno, più o meno dichiarato, di uno dei due contendenti.
Eguegu lo esprime chiaramente proseguendo nella sua analisi. «Se si considera il rischio che si arrivi ad una vera e propria guerra civile con i problemi conseguenti, come quello dei rifugiati, sono serie le preoccupazioni che (la situazione in Sudan, ndr) possa innescare una crisi ben maggiore, data la dipendenza dell’esercito sudanese e delle Rsf da potenze straniere per finanziamenti e forniture di armamenti».
Ma, a giudicare dalle notizie di oggi, è forse già troppo tardi per bloccare una crisi regionale.
Libia e Ciad
Fin dal 18 aprile Shams al-Din Kabbashi, membro del Consiglio supremo e portavoce dell’esercito, aveva denunciato il fatto che due paesi sostenevano attivamente le Rsf. Non li aveva nominati, ma oggi arriva la smentita dell’Esercito nazionale libico (Lna) di Khalifa Haftar che nega decisamente di essere uno dei due e si dice invece pronto a fare da mediatore.
Sta di fatto che i rapporti tra il comandante delle Rsf Hemetti e Hatfar sono ottimi da quando il primo ha supportato il secondo inviando contingenti di suoi miliziani in Libia.
Secondo Radio France International, il 13 aprile uno dei figli di Haftar, Siddik, ha incontrato Hemetti a Khartoum, apparentemente per dare sostegno ad una squadra di calcio, Al Merreikh, a cui entrambi sono interessati. Siddik avrebbe donato 2 milioni di dollari per la riabilitazione dello stadio, in cui sarebbe impegnata la ditta Al-Jonaid, di cui è titolare un fratello del comandante delle Rsf. Insospettirsi è dunque lecito.
Il secondo paese potrebbe essere il Ciad. Sempre Rfi ricorda che il capo di gabinetto del presidente ciadiano Mahamat Idriss Déby, è un cugino di Hemetti, Bichara Issa Djadallah. E si sa che i legami familiari in Africa in genere e tra le tribu saheliane in particolare, contano moltissimo.
Ma aiuti diretti ed indiretti alle Rsf potrebbero arrivare anche da altri paesi.
Eritrea ed Etiopia
Un twitt circolato in queste ore afferma che Hemetti avrebbe chiesto rinforzi all’Eritrea per attaccare Kassala, nel Sudan orientale, e prendere il controllo del suo aeroporto.
Hemetti ha incontrato il presidente Isaias Afeworki ad Asmara alla metà di marzo. Kassala è a due passi dal confine e l’Eritrea è sempre pronta a inviare contingenti del suo esercito sugli scenari di conflitto nella regione, anche per questioni economiche, dal momento che in questo modo può pagare i suoi uomini senza pesare su un esiguo bilancio statale.
Un aiuto, seppur indiretto, potrebbe essere considerato anche l’attacco etiopico nella zona contestata del triangolo al Al-Fashaga, già teatro di duri scontri negli anni recenti della guerra civile in Tigray.
Lo riporta il quotidiano sudanese Al Sudani nella sua edizione online. L’attacco dell’esercito di Addis Abeba sarebbe stato respinto da quello sudanese che presidiava il confine fin dall’inizio delle tensioni con le Rsf. Val la pena ricordare che il loro comandante ha incontrato il presidente etiopico lo scorso gennaio, durante una visita ufficiale di due giorni ad Addis Abeba.
Egitto
Va anche considerato che il conflitto di confine si inquadra nelle tensioni regionali per i mancati accordi sul riempimento del bacino formato dalla Gerd, la grande diga etiopica sul Nilo Blu, che vede il Sudan schierato con l’Egitto contro le decisioni unilaterali di Addis Abeba.
A sottolineare l’alleanza, Khartoum e il Cairo hanno stipulato un accordo di cooperazione militare che prevede esercitazioni congiunte e la presenza di truppe egiziane in territorio sudanese. Un contingente di stanza presso l’aeroporto militare della città di settentrionale di Merowe, è stato preso prigioniero dalle Rsf nelle prime ore dello scoppio del conflitto ed è stato rimpatriato dopo l’intervento dei militari sudanesi.
Anche per questo, con ogni probabilità, il presidente egiziano al-Sisi ha assicurato di non aver nessuna intenzione di partecipare attivamente agli scontri a supporto dell’esercito sudanese, come molti osservatori temono.
Un cambio della guardia a Khartoum potrebbe infatti voler dire anche un cambio di alleanze su una questione tanto delicata come il controllo delle acque del Nilo, cosa che l’Egitto non può permettersi.
Il conflitto sudanese potrebbe dunque aprire una gravissima crisi regionale.
Ne sono molto preoccupati i sudanesi stessi. Nelle interviste rilasciate ai media internazionali anche i semplici cittadini chiedono ai paesi vicini e a quelli che si sanno alleati ad una delle due parti di non soffiare sul fuoco. Ne sono ovviamente consapevoli anche le istituzioni governative.
In un comunicato diffuso dal ministero degli esteri il 17 aprile, si legge infatti: “Mentre il ministero esprime apprezzamento per gli sforzi dei paesi arabi e africani, della comunità regionale e internazionale nel supportare il ritorno della calma nel paese, sottolinea che si tratta di un affare interno la cui soluzione deve essere lasciata solo ai sudanesi senza interventi internazionali”.
Ѐ una dichiarazione che può essere letta secondo registri diversi. Questa grave crisi non potrà essere risolta senza una mediazione che dovrà però provare di essere indipendente ed autorevole.
Alcune proposte sono già state fatte circolare dalle organizzazioni internazionali e da esperti sudanesi e non, ma per ora il clima nel paese è tale che nessuna sembra poter essere presa in considerazione in un breve lasso di tempo.