«L’85% dei migranti e rifugiati giunti dalla Libia in Italia ha subito torture e trattamenti inumani e degradanti. Il 79% è stato detenuto o sequestrato in luoghi sovraffollati e in pessime condizioni igienico-sanitarie, il 75% ha subito costanti deprivazioni di cibo, acqua e cure mediche, il 65% gravi e ripetute percosse». È un passaggio del capitolo “la fabbrica della tortura”, tratto da un dossier dell’organizzazione Medici per i diritti umani che ha raccolto oltre tremila testimonianze negli 11 centri di detenzione formalmente controllati dalle autorità libiche e sostenuti dall’Europa.
Un volto delle politiche migratorie dell’Ue e dell’Italia nel Mediterraneo, che Nello Scavo, inviato del quotidiano Avvenire, ha contribuito a denunciare. In una decina di capitoli, il giornalista sintetizza il sistema, denominato Libyagate, che sovrintende alle rotte mediterranee e che non si limita a trafficare esseri umani, ma che si occupa anche di far commercio di armi, droga e petrolio. Nella gestione di questo apparato di interessi torbidi cooperano faccendieri, ambienti politici e organizzazioni mafiose.
Intanto «il Libyagate continua a essere alimentato dalla “trattativa” tra Roma e Tripoli, sfociata nel memorandum d’intesa varato nel 2017 e confermato per tre volte dai nostri governi». Queste pagine offrono anche lo spunto per valutare il corto respiro delle politiche dell’Ue nel Mediterraneo e per soffermarsi sulla transizione infinita della Libia.