Biennale Architettura: quel visto che sa di futuro negato - Nigrizia
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L’Italia rifiuta il permesso di ingresso a tre collaboratori ghanesi della curatrice della mostra internazionale
Biennale Architettura: quel visto che sa di futuro negato
Il visto rifiutato per mancanza dei requisiti. Lesley Lokko dichiara che l’ambasciatrice italiana in Ghana, Daniela d’Orlandi, l’ha accusata di aver tentato di portare in Europa “giovani uomini non essenziali”. La Farnesina smentisce. La domanda è sempre quella: perché per italiani, europei, occidentali in genere, non è reso ugualmente difficile viaggiare in un paese africano o dovunque nel mondo?
19 Maggio 2023
Articolo di Antonella Sinopoli
Tempo di lettura 5 minuti
Lesley Lokko

Cosa potrebbe avvenire «se una costellazione di voci globali progressiste potesse trovare lo spazio e la libertà per perseguire un’agenda veramente trasformativa?». È una delle tante, provocative, riflessive domande che si è posta Lesley Lokko quando, nel 2020, ha fondato ad Accra, in Ghana, l’African Futures Institute.

Una domanda che, come in un gioco di specchi, genera multiformi rifrazioni. Rifrazioni che toccano (o meglio colpiscono) aspetti sociali, culturali, persino legislativi del nostro vivere comune. Un universo di individui globalizzati ma non liberi.

Anzi con libertà concesse in alcune parti del mondo ma non in altre. Un universo in cui la trasformazione reale si scontra con modelli e pensieri arcaici, che sanno ancora di dominazione, colonialismo, persino – azzardiamo – prepotenza. Perché il potere – e chi è chiamato a gestirlo – porta sempre con sé il rischio di una gestione che sotto sotto risponde a pregiudizi e prese di posizione.

Dunque, Lesley Lokko, architetta e scrittrice di fama mondiale, scozzese di origine ghanese e curatrice della 18esima Mostra internazionale di architettura alla Biennale di Venezia, oggi si è fatta personalmente “agente di cambiamento”. E non solo per le innovazioni – e le riflessioni etiche che porta alla mostra – ma perché ha reso pubblica ed evidente la contraddizione tra il mondo reale, quello raccontato e quello voluto (anzi conservato) da politiche e burocrazie anacronistiche.

La curatrice della mostra – quest’anno dedicata all’Africa – ha dovuto fare a meno di tre dei collaboratori scelti per affiancarla in questi mesi (si inaugura il 20 maggio, si chiude il 23 novembre) per presentare un’Africa diversa dalle narrazioni solite che la vedono appetibile al pubblico solo quando si parla di conflitti, carestie, povertà, corruzione.

E farlo attraverso uno sguardo nuovo ma critico in cui l’Africa – The Laboratory of the Future, questo il titolo dell’evento – viene narrata, appunto, come laboratorio.

Lo è stata nel passato quando ha fornito ogni tipo di materie prime (ed esseri umani usati come merce e oggetti) per costruire il benessere dell’Occidente, lo è oggi perché la sua fonte non si è esaurita, ma lo è anche – e continuerà sempre più ad esserlo nel futuro – per i talenti, le potenzialità, la creatività, la forza e originalità espressiva che continua a generare.

Di questi tre collaboratori, Lokko dovrà fare a meno perché l’ambasciata italiana ad Accra ha negato loro il visto. È una notizia che ha fatto il giro del mondo, e non solo per la notorietà della curatrice della Biennale o appunto perché si tratta di un evento così importante. Ha fatto il giro del mondo perché mostra che il re è nudo.

Mostra l’arroganza di chi – potere politico, burocrazia, istituzioni – decide la vita degli altri. Ne decide le opportunità e gli spostamenti. I diritti da garantire e quelli da rifiutare. Dall’ambasciata d’Italia in Ghana, nella figura dell’ambasciatrice Daniela d’Orlandi, la motivazione del rifiuto del visto è stata fredda e burocratica (com’era prevedibile) e cioè che mancavano i requisiti.

Quali non è dato saperlo, e alla fine risulta poco rilevante. Dopotutto le richieste sono talmente tante – conti in banca, assicurazione, lettere di invito, la certezza che non vogliano “scappare”, etc. etc. – che sembra evidente che tutto sia fatto per ostacolare e dissuadere anche le partenze regolari dall’Africa.

La domanda rimane sempre quella: perché per italiani, europei, occidentali in genere, non è reso ugualmente difficile viaggiare in un paese africano o dovunque nel mondo? Sono molte le ragioni per le quali la richiesta di visto può essere rigettata. Troppe. E si comprende come sia estenuante già avviare la pratica.

Ma la cosa più grave è che si possano usare termini come “giovani uomini non essenziali”. Almeno questo è quanto dichiarato – e poi smentito dalla Farnesina – dalla Lokko. La curatrice della Biennale ha raccontato – quale sarebbe il motivo per non crederle? – essere questa la motivazione della negazione del documento di viaggio: voler portare in Italia individui (africani) non essenziali. Che tristezza.

Il pensiero corre a quell’espressione “carichi residuali” usata dal ministro dell’interno, Matteo Piantedosi. Non fu un’espressione sfuggita e incontrollata, visto che poi, dopo la strage di Cutro, un anno dopo, ebbe il coraggio di dire “non dovevano partire”.

Certo, è chiaro, bisogna aspettare e sperare nella pietà o nella compiacenza o nella discrezionalità di quelli che hanno il potere sulla vita degli altri per lasciare una zona di guerra o per farsi una vita migliore, o per studiare all’estero. O per partecipare a eventi culturali.

È apprezzabile stimare artisti in loco, lodarli, organizzare o partecipare a iniziative d’arte e cultura o anche solo per lanciare il Made in Italy o programmi di cooperazione internazionale – in questo l’ambasciata italiana in Ghana è abbastanza attiva. Più difficile è aprire il mondo agli africani, soprattutto ai giovani, allo stesso modo in cui i nostri giovani hanno “a disposizione” il mondo.

E non è con il conteggio dei visti concessi in luogo di quelli negati che si determina il cambio di mentalità. Quella è solo ulteriore burocrazia. Senza cuore. Senza anima. E, diciamolo chiaro, non è limitata all’ambasciata italiana ad Accra. Perché il passaporto non è mai stato un documento di viaggio, diciamo così, ma la rappresentazione di un privilegio, di controllo, di esercizio di potere. E quelli di colore verde del Ghana – come quelli di tanti Stati africani – valgono poco. In alcuni casi, niente.

 

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