Il Kenya è in Africa il quinto più grande paese che ospita rifugiati, e il 13° a livello mondiale. Sono infatti oltre 700mila le persone che vi hanno trovato asilo fuggendo da persecuzioni, violenza o siccità. La maggioranza risiede negli smisurati campi profughi di Dadaab e Kakuma, mentre la capitale Nairobi ne ospita 91mila.
Ora il governo, per promuovere maggiore sicurezza e continuare a coprire gli obblighi umanitari verso i rifugiati, intende concedere loro, in un piano quinquennale, documenti legali d’identità con cui potranno validamente condurre attività per generare reddito.
In tal modo i campi potrebbero così trasformarsi in centri urbani permanenti, piuttosto che in agglomerati di tendopoli e abitazioni precarie e insalubri.
Le controversie sorte negli ultimi anni riguardo ai campi profughi hanno portato il governo a discutere più volte della loro chiusura, temendo che i campi sovraffollati siano luoghi privilegiati in cui reclutare giovani, pianificare e porre in atto attentati terroristici da parte di elementi jihadisti e criminali presenti in essi.
In effetti, a un certo punto, nel 2015, dopo l’attacco del gruppo terroristico al-Shabaab all’università di Garissa in cui furono trucidati almeno 148 studenti, il Kenya aveva firmato un accordo tripartito con la Somalia e l’Agenzia delle Nazioni Unite per i rifugiati (Unhcr) per il ritorno volontario dei rifugiati.
Il Kenya, infatti, aveva sostenuto che le aree di confine dove sono situati i campi erano diventati percorsi per l’introduzione di armi e il contrabbando dalla Somalia, e i campi erano terreno fertile per attacchi terroristici.
Tuttavia, la mancanza di un ambiente favorevole in Somalia e il fatto che i rifugiati non potevano essere forzati a tornare a casa, ha avuto come risultato che solo 80mila dei 400mila rifugiati stimati in quel tempo rientrarono nel loro paese.
Ora pertanto, il Kenya afferma che è bene che a Dadaab e Kakuma si apra la strada alla libertà di avviare iniziative private di produzione e commercio, investendo soldi e chiedendo a donatori disponibili di aiutare a erigere servizi sociali che faciliteranno la protezione e la sicurezza sociale dei campi.
Scopo ultimo del piano, soprannominato Nashiriki (swahili per “io voglio cooperare”) è di garantire che i rifugiati e i richiedenti asilo siano sostenuti a passare dalla dipendenza dall’aiuto umanitario all’autosufficienza.
«Lo sviluppo in tal senso – ha dichiarato il commissario kenyano per gli affari dei rifugiati John Burugu – andrà a beneficio di tutte le parti coinvolte. Le agenzie di aiuto dovranno apportare i necessari accorgimenti nel pianificare l’assistenza, adattandosi al nuovo modello di insediamento».
«Queste agenzie – ha concluso Burugu – svolgeranno un importante ruolo di monitoraggio, benché sempre sotto la guida del governo per insediamenti progressivi e sostenibili».
Primo passo nell’attuazione del piano è stato il riconoscimento di Kakuma come comune della contea Turkana. Altrettanto ha dichiarato che farà per Dadaab Nathif Jama Adam, governatore di Garissa.
Dal canto loro, agenzie delle Nazioni Unite, partner donatori, istituti finanziari internazionali e ong che lavorano nei due campi hanno già promesso sostegno al piano.
La scorsa settimana, il governo ha creato un Comitato direttivo intergovernativo per allineare il piano di transizione dei rifugiati con le priorità di sicurezza nazionale, in base alla legge che delinea privilegi e opportunità per rifugiati e richiedenti asilo, e le modalità per accedere all’acquisizione dei documenti d’identità.