Alla fine la data è arrivata. Lo Zimbabwe terrà le elezioni presidenziali e parlamentari il 23 agosto prossimo. L’annuncio arriva dal presidente del paese Emmerson Mnangagwa, dopo che per giorni il vertice istituzionale era stato subissato da critiche proprio perché quella data, promessa, non arrivava mai.
Era stato lo stesso leader dell’opposizione, Nelson Chamisa, 45 anni, alla guida della neonata Coalizione dei cittadini per il cambiamento (CCC), a denunciare nei giorni scorsi il fatto che restava ancora ignoto il giorno del voto. Gli aveva replicato a breve giro di posta il portavoce del presidente dicendo ai giornalisti che la data sarebbe stata annunciata «a tempo debito».
Evidentemente il tempo debito è arrivato.
Del resto, secondo la legge elettorale del paese, la data deve essere annunciata 90 giorni prima dello scrutinio. Mnangagwa aveva prestato giuramento il 26 agosto 2018 per un mandato di cinque anni. Il che significa che il mandato presidenziale e parlamentare termineranno il 26 agosto 2023.
Mnangagwa cercherà di ottenere un secondo mandato. La sua elezione aveva fatto seguito al colpo di stato militare che aveva deposto Robert Mugabe nel 2017.
Polemiche su riforme e leggi elettorali
La proclamazione delle elezioni arriva nel mezzo di dibattiti parlamentari sulle riforme elettorali. Il partito di Chamisa chiede l’accesso e la revisione delle liste degli elettori, nonché l’accesso ai media pubblici, che a suo dire contribuiranno a far partire alla pari i contendenti in gioco.
In particolare il CCC ha denunciato «gravi anomalie» nella registrazione degli elettori. Alcuni oppositori si sono lamentati di essere stati cancellati dagli elenchi, altri hanno riscontrato di essere stati iscritti in sedi lontane da quelle dove erano abitualmente iscritti. Secondo loro, centinaia di cittadini dello Zimbabwe si trovano nella stessa situazione.
I commentatori politici sostengono che la mancata attuazione delle riforme elettorali potrebbe portare lo Zimbabwe a un’altra elezione contestata. L’opposizione, infatti, dubita che il governo voglia organizzare un voto «equo e credibile», Anzi, sarebbe in atto un «tentativo deliberato» di eliminare ogni opposizione alle urne.
La commissione elettorale ha assicurato di essere «in procinto di correggere tutti gli errori». Per mesi il CCC ha accusato di repressione lo Zanu-PF al potere. Le riunioni sono state ostacolate e funzionari arrestati. Nel 2018, Mnangagwa aveva vinto di misura le presidenziali (50,8%) in un appuntamento elettorale segnato dalla violenza. All’epoca aveva promesso che alle elezioni successive la diaspora avrebbe finalmente potuto votare. Cosa che non è avvenuta.
Imbarazzo con gli Usa
La titubanza nello scegliere la data aveva creato degli attriti anche con l’amministrazione americana. Il 30 maggio il ministro degli affari esteri zimbabweano ha convocato Elaine French, ambasciatrice ad interim degli Stati Uniti ad Harare per protestare contro la presunta interferenza degli Usa nelle prossime elezioni.
La sua ambasciata aveva pubblicato diversi messaggi su Twitter in cui incoraggiava i cittadini dello Zimbabwe a «registrarsi per votare e assicurarsi che la propria voce sia ascoltata».
Il ministero ad interim degli affari esteri, l’ambasciatore Rofina Chikava, ha protestato per i tweet e ha invitato gli americani a non intromettersi nei processi politici del paese.
Il portavoce di Mnangagwa, George Charamba, aveva twittato in precedenza che lo Zimbabwe avrebbe potuto bloccare gli osservatori americani durante le elezioni generali.
Lo Zimbabwe e gli Stati Uniti hanno relazioni gelide che risalgono a due decenni fa, quando Washington impose sanzioni al regime del defunto Robert Mugabe per presunte violazioni dei diritti umani e frodi elettorali.
L’amministrazione del presidente Joe Biden ha mantenuto l’embargo, accusando il successore di Mugabe di non aver attuato le riforme economiche e politiche promesse dopo il colpo di stato militare del 2017.
D’altro canto, lo Zimbabwe sostiene di essere stato punito per aver attuato un programma di riforma agraria che ha fatto fuggire migliaia di agricoltori commerciali bianchi all’inizio del millennio.