«Dire, fare, disarmare». È lo slogan dal sapore retorico, stile Baci Perugina, di Etica Sgr, la società di gestione del risparmio del Gruppo Banca etica. È la struttura che gestisce i fondi dopo aver fatto «una rigorosa selezione di titoli d’impresa e di stati». Il suo direttore generale, Luca Mattiazzi, non ha dubbi: «Disarmare è per Etica sgr un tema importantissimo, direi identitario. I nostri fondi comuni dicono no a qualsiasi produttore di armi fin da quando sono stati istituiti, nel 2003».
Una società, così come la sua capogruppo, che si è sempre onorata di non far parte di quella corte di istituti finanziari che blandiscono il mercato delle armi.
Ma gli annunci o gli slogan enfatici di Etica sgr non riescono a sciogliere una possibile trappola mediatica. Perché leggendo la tabella delle banche cosiddette armate, prodotta dalla Relazione della presidenza del Consiglio sull’import ed export di armi, si ha quella sensazione di scricchiolio che prelude al formarsi di una crepa per la società che ha la sua sede a Milano.
A cosa ci riferiamo? Al fatto che tra gli azionisti minori di Etica Sgr compaiono tre istituti finanziari (il Banco Bpm con il 19,44% del capitale sociale, la Bper Banca con il 10% e la Banca Popolare di Sondrio con il 9,87%) che regolarmente (o quasi) compaiono nella lista “Banche armate”. La classifica che segnala quegli istituti che mettono maggiormente a disposizione i loro servizi e conti correnti alle aziende militari.
L’exploit della “Popolare” di Sondrio
Quest’anno, in particolare, l’exploit è della “Popolare” di Sondrio, perché nella tabella degli “importi e accessori segnalati” riferiti al 2022 si colloca, con quasi 250 milioni di euro, al 4° posto dietro i colossi Unicredit, Intesa San Paolo e Deutsche Bank, con una crescita del 60% rispetto al 2021.
Ma nella lista compaiono anche il Gruppo Bper (al 10° posto con 84,3 milioni di euro) e il Banco Bpm (12° con 39,5 milioni di euro).
Potrebbe non aver messo di buonumore i vertici di Etica Sgr anche la lettura dell’ultimo report della campagna Don’t Bank on the bomb, che ricostruisce i flussi di capitale attorno al business delle armi nucleari. Il rapporto, intitolato Risky returns: nuclear weapon producer and their finaciers (Ritorni pericolosi: i produttori di armi nucleari e i loro finanziatori) cita 306 tra banche e società finanziarie legate alle 24 principali aziende del settore. Nel periodo che va da gennaio 2020 a luglio 2022, le hanno sostenute con oltre 746 miliardi di dollari. Tra le italiane, oltre alle immancabili Unicredit e Intesa, compaiono anche Banco Bpm (547,6 milioni di euro), Bper (279,3 milioni), “Popolare” di Sondrio (158 milioni) e Anima – fondi legati a Bpm – (14,6 milioni).
Vexata quaestio
La partecipazione di questi istituti al capitale di Etica sgr è un’arcinota (ma sempre imbarazzante) vexata quaestio. Già subito dopo la nascita (nel 2000) della società di Banca etica erano sorti intoppi mediatici. Nel 2007 l’allora presidente della Banca popolare di Milano (oggi nel gruppo Banco Bpm), Roberto Mazzotta, scrisse una lettera a Banca etica in cui confermava la «precisa intenzione di proseguire nell’uscita dall’attività riguardo l’appoggio alle aziende del settore armamenti». Intenzione poi tradita, leggendo le ultime relazioni governative.
E non è un tema irrilevante il fatto che ogni anno questi istituti incassino utili da Etica sgr. Ad esempio, quest’anno l’utile netto è stato di 9,64 milioni di euro e ai soci sono stati distribuiti, come dividendi, 7,7 milioni. Possiamo considerarla solo una notizia accessoria?
Real politik
Ovviamente nessuno ritiene che i dirigenti e i soci di Etica sgr siano dei samaritani di mestiere. Pure loro fanno i conti con la real politik. Che non vuol dire puerile velleitarismo (“nessun patto con le banche armate”), né realismo straccione (“gli affari sono affari”), ma valutazione disincantata dei fini da perseguire e dei costi da pagare. E tra questi ultimi, secondo i vertici di Banca etica, c’è pure l’alleanza con i 3 istituti bancari, giudicata necessaria e inevitabile per ottenere nel 2000 il semaforo verde da Banca d’Italia (anche se Bper, all’epoca Banca popolare dell’Emilia Romagna, è entrata nel 2011 quando già compariva nella lista delle banche armate).
Una comunicazione congiunta di Etica sgr e Gruppo Banca etica conferma questa impostazione da “contaminazione”: «Da tempo è aperto un dialogo costruttivo tra il gruppo Banca Etica e i nostri principali partner finanziari, con cui abbiamo incontri periodici per stimolare riflessioni e buone pratiche sulla tematica relativa agli armamenti, con un atteggiamento critico ma, al tempo stesso, aperto al dialogo con l’obiettivo di far comprendere come oggi una banca abbia bisogno di ricostruire un rapporto fiduciario con la clientela, a partire da queste scelte» (qui il comunicato nella sua interezza).
Al di là di dichiarazioni ufficiali, da Banca etica raccontano che «per noi è importante mantenere le relazioni con questi istituti per essere poi in grado di fare pressioni su di loro in modo tale che rispettino lo spirito della legge 185 del 1990, quella che disciplina il commercio degli armamenti». Raccontano che stanno spingendo le 3 banche, anche con seminari e incontri, affinché si dotino di una policy in linea con la 185. Raccontano di aver trovato terreno fertile con Bper e Banco Bpm. Meno con la “Popolare” di Sondrio. «Serve un atteggiamento di maturità», ci spiegano. «Meglio un processo di confronto che distinguersi tra buoni e cattivi».
Trovate il resto dell’articolo nel numero di Nigrizia di luglio e agosto