Le notizie che arrivano dalla capitale della regione del Darfur Occidentale avvallano le denunce di una pulizia etnica in corso contro la popolazione di etnia masalit, e nera in generale, ad opera dei paramilitari Forze di supporto rapido affiancati da milizie di tribù arabe, in parte provenienti dal vicino Ciad.
Dalla scorsa settimana a El Geneina, capitale della comunità masalit, un numero crescente di civili in fuga sono stati attaccati, uccisi, sequestrati e le donne violentate lungo la strada, mentre cercavano di raggiungere a piedi il confine con il Ciad. Dove oltre 273mila darfuriani si sono rifugiati dall’inizio del conflitto, il 15 aprile.
In migliaia hanno iniziato a fuggire quando il governatore del Darfur Occidentale, Khamis Abbakar, è stato sequestrato e ucciso, il 14 giugno, poche ore dopo aver rilasciato un’intervista televisiva nella quale accusava le RSF e le milizie alleate di «genocidio», chiedendo protezione internazionale.
Due giorni fa, l’organizzazione Medici Senza Frontiere (MSF), una delle poche ancora operative nella regione, ha dichiarato che circa 15mila persone sono fuggite nei quattro giorni precedenti e che molti rifugiati hanno riferito di aver visto uomini, donne e bambini uccisi lungo la strada che da El Geneina porta al vicino confine, controllata da milizie arabe.
MSF ha anche denunciato stupri, che sarebbero in costante aumento in tutte le zone di guerra del paese, secondo la Bar Association (DBA) che ha descritto la situazione a El Geneina come “un genocidio su vasta scala”.
Il sultano Saad Bahreldin, leader della tribù masalit (Sultanato di Dar Masalit), ha detto che negli ultimi giorni ci sono state uccisioni «sistematiche». «Ci sono molti corpi lungo la strada tra El Geneina e Adre, nessuno può contarli», ha detto ad Al Hadath TV.
Descrivendo i continui attacchi a El Geneina e nelle aree circostanti come “pulizia etnica” e “genocidio”, il Sultanato di Dar Masalit ha riferito che più di 5mila persone sono state uccise e circa 8mila sono rimaste ferite in 17 attacchi alla capitale tra il 24 aprile e il 12 giugno, escluse quindi le violenze iniziate la scorsa settimana.
La DBA riporta anche l’uccisione di Amir Badawi Masri Bahreldin, cugino del sultano masalit, in un attacco alla sua casa, e di una caccia agli esponenti della società civile della città.
Le testimonianze di rifugiati raccolte da Radio Dabanga confermano i resoconti della pulizia etnica in corso: “Circolano filmati online di pile di corpi ammassati e alcuni sostengono che i cadaveri vengano usati come barricate”.
«Non stanno solo cercando i masalit, ma chiunque sia nero», ha detto a Reuters un residente arrivato in Ciad il 15 giugno, aggiungendo che le strade della città erano disseminate di corpi, compresi quelli di donne e bambini.
«Intere famiglie sono state sterminate e seppellite in fosse comuni lungo la strada», denuncia Mojeeb Elrahman Yagoub, vice commissario per i rifugiati nel Darfur Occidentale, descrivendo la situazione attuale come «peggiore di quanto accaduto in Rwandanel 1994 e peggiore delle violenze in Darfur nel 2003», proseguite anche in tempi più recenti con ricorrenti attacchi a villaggi e campi di sfollati.
Nei giorni scorsi almeno tre organizzazioni, tra cui la Strategic Initiative for Women in the Horn of Africa (SIHA), la West Darfur Doctors Union e gli Stati Uniti, hanno paragonato la violenza a El Geneina al genocidio rwandese.
Il 19 giugno il governatore della regione del Darfur, Minni Minnawi, ha chiesto al Consiglio di sicurezza dell’Onu un’estensione del mandato della Corte penale internazionale (CPI) per indagare sulle atrocità perpetrate contro i civili nel Sudan Occidentale.
Di fronte a questo scenario la comunità internazionale, quella africana e le Nazioni Unite – in particolare la kenyana Alice Wairimu Nderitu, consigliera speciale Onu per la prevenzione del genocidio – ora non possono più limitarsi a formali parole di condanna.