La perdita di foreste primarie tropicali è aumentata nel 2022, nonostante gli impegni presi da oltre 100 leader mondiali l’anno precedente per “arrestare e invertire la perdita di foreste e il degrado del suolo entro il 2030”.
I nuovi dati dell’Università del Maryland, disponibili sulla piattaforma Global Forest Watch del World Resources Institute, si concentrano sulle foreste primarie tropicali, dove si verifica oltre il 96% della deforestazione.
Indicano che quasi la metà della perdita globale – 4,1 milioni di ettari, l’equivalente di 11 campi di calcio al minuto, cresciuta del 10% rispetto al 2021 -, è avvenuta nell’Amazzonia brasiliana (1,8 milioni di ettari, un aumento del 15%).
Sempre lo scorso anno, l’Africa ha perso circa 3,6 milioni di ettari di copertura arborea, tra cui circa 800mila ettari di foreste tropicali primarie o di vecchia crescita.
In cima alla lista di paesi responsabili della maggiore deforestazione c’è la Repubblica democratica del Congo che ospita parte della vasta area forestale primaria del Bacino del Congo. Il paese ha perso oltre 500mila ettari nel 2022 in un trend distruttivo in costante aumento negli ultimi anni.
Gli analisti fanno notare che l’accordo da 500 milioni di dollari firmato nel novembre 2021 alla COP26 per proteggere le foreste della Rd Congo “deve ancora avere un impatto sui tassi di deforestazione”.
E che “nonostante l’impegno a sostenere gli obiettivi di conservazione delle aree protette, il governo ha recentemente messo all’asta i permessi per l’esplorazione di petrolio e gas in foreste incontaminate e torbiere ricche di carbonio, e ha indicato che presto revocherà la sua moratoria sulle nuove concessioni di disboscamento”.
A seguire c’è un paese molto più piccolo, il Ghana, che però ha registrato la più alta percentuale di perdita di foreste primarie di qualsiasi altro paese tropicale negli ultimi anni. Un aumento del 71%, principalmente nelle aree protette. Nel 2022 ha perso 18mila ettari.
La deforestazione è cresciuta anche in altri paesi, come l’Angola (+ 52%), il Camerun (+ 40%) e la Liberia (+ 23%).
Lo studio evidenzia però anche esempi incoraggianti di tutela forestale. Tra questi il Gabon e la Repubblica del Congo, paesi del Bacino del Congo con alta copertura forestale e bassa deforestazione, che continuano a registrare bassi tassi complessivi di perdita di foreste primarie.
Tuttavia, ci sono paesi – come la Costa d’Avorio, il Gabon e il Madagascar – che, sostiene lo studio, sono riusciti a invertire questa tendenza.
In Costa d’Avorio, però, la situazione resta critica per il disboscamento causato dalla produzione di cacao, di cui il paese è primo produttore al mondo. Il paese, che negli anni ’60 contava 16 milioni di ettari di foreste, ha visto l’area ridursi a 2 milioni di ettari.
Una perdita che minaccia l’ecosistema e la stessa industria del cacao, come ha fatto notare il colosso svizzero Nestlé, da decenni nell’occhio del ciclone in Africa per sfruttamento del lavoro minorile e danni ambientali.
L’operazione di “green washing” dell’azienda è iniziata nel 2020 con il lancio di un progetto di protezione e riforestazione della foresta di Cavally, nell’ovest del paese, in collaborazione con il governo ivoriano e la fondazione Earthworm, il cui obiettivo è sostenere le aziende nella gestione razionale delle foreste.
La riserva forestale di Cavally, nell’ovest del paese, copre oltre 67mila ettari ed è un’area minacciata dalla deforestazione per lo sviluppo delle piantagioni e dalla ricerca illegale dell’oro.
Salutando il successo della prima fase e annunciando il via della seconda, Nestlé ha assicurato di aver consentito “una massiccia e rapida riduzione della deforestazione”, contribuito alla “rigenerazione naturale di 7mila ettari” e al “rimboschimento di quasi 1.500 ettari”. Dati tutti da verificare.
Il WWF fa notare che il 54% delle importazioni di cacao in Svizzera proviene da paesi dove il rischio di deforestazione è alto o molto alto. Una pratica che l’Europa ha vietato solo di recente.