Il trend musicale del momento. Viene dall’Africa e si chiama afrobeats. Uno dei generi più in voga a livello globale. E non da oggi, ma già da molti anni. Una crescita tale che tutte le 10 canzoni più ascoltate in streaming sono diventate hit negli ultimi dieci anni. Citiamo solo le prime due: Rema con il suo Calm Down e Ckay con Love Nwantiti, sia nella versione originale che in quella remix.
Una fusione di generazioni e di influenze, quella dell’afrobeats, che fa interagire ed evolvere diversi generi: dall’highlife al fuji e Juju e poi l’hip hop e il reggae.
Da notare che tra afrobeat e afrobeats c’è una differenza: con il primo si fa riferimento a Fela Kuti, leggenda del genere musicale, che combinava highlife, jazz, funk e influenze musicali yoruba e i cui testi erano messaggi e proteste politiche.
Il secondo – che si cominciò ad utilizzare durante la prima decade del 2000 – ha ulteriori influenze musicali e i testi sono molto meno impegnati e impegnativi.
Altro elemento è che molte canzoni dell’afrobeats sono in lingue, o con parti della lirica, dell’Africa occidentale: come il pidgin inglese, yoruba, ibo, il twi, o l’ewe. E poi, ovviamente, c’è il ritmo, quel ritmo così irresistibile, derivazione dei tradizionali battiti di tamburi e percussioni di vario genere.
Secondo i dati del Global Music Report nel 2022 la regione subsahariana ha registrato la crescita più rapida a livello globale nell’ambito dell’industria musicale – pari al 34,7% -.
Una crescita trainata in gran parte da un significativo aumento dei ricavi nel mercato più grande della regione, il Sudafrica (+31,4%). E naturalmente segnata dall’emergere del genere.
Del resto basta guardare ai numeri di Spotify. Lo scorso anno lo streaming di brani afrobeats è arrivato a 13,5 miliardi di trasmissioni. Una crescita del 550% dal 2017, quando gli ascolti on line riguardavano 2 miliardi di persone.
Un’esplosione tanto potente da indurre la piattaforma a creare un sito satellite, Afrobeats: Journey of a Billion Streams, interamente dedicato a questo genere musicale.
Il 35% degli ascoltatori va da una fascia d’età compresa tra i 18 e i 24 anni, mentre il 25% va dai 25 ai 29 anni. Fan di questo genere musicale sono anche i Millennials con il 16% degli ascolti streaming da parte dei trentenni.
E c’è da giurare che l’età degli appassionati di afrobeats vada assai oltre. Ragazzi e meno giovani di Lagos come di Londra o Parigi, che vivono a Rotterdam o ad Accra, a Nairobi oppure a Toronto.
Sono sempre i dati raccolti da Spotify a raccontarlo. Ma a questa piattaforma se ne affiancano altre frequentate nel continente: non solo Youtube ma anche, per esempio, Boomplay, servizio di download e streaming multimediale incentrato sull’Africa e nato in Africa (Nigeria).
Del resto, oggi – come spiega Jocelyne Muhutu-Remy, a capo di Spotify per l’Africa subsahariana – gli artisti sanno sfruttare meglio il loro talento e conoscono il potere dello streaming e come utilizzarlo.
E implementeranno sempre di più sofisticate strategie di marketing non solo per arrivare al pubblico che già li ama ma per perfezionare il loro marchio e personalizzare la loro musica verso mercati specifici.
Le particolarità dello stile, una migliore qualità – sia nei brani e negli arrangiamenti che nei video – come una strutturata rete di distribuzione, ma anche di collaborazioni con il mondo artistico in varie parti del mondo, hanno fatto sì che il genere si espandesse.
Mentre prima era maggiormente concentrato nel Regno Unito, negli USA, in Canada e in Francia per l’elevata concentrazione di nigeriani e altri africani nella diaspora in questi paesi, ora sempre più artisti afrobeats stanno trovando una solida base in Asia, Medio Oriente, Europa.
In Medio Oriente come in Nordafrica, in Asia come in India, Rema, Ckay, Libianca, Burna Boy occupano i primi posti nelle classifiche e come artisti afrobeats più ascoltati in streaming.
E in questo panorama va considerato il grande successo del mondo artistico al femminile. Dalle nigeriane Tems, Ayra Starr, Twina Savage, Fave, Yemi Alade, Simi, alla anglo-nigeriana Darkoo; dalla ghanese Gyakie alla ghanese-statunitense Amaarae alla camerunense-americana Libianca. Questo per restare nella top ten.
La prevalenza di artiste nigeriane e del pressing di quelle ghanesi riporta all’annosa questione: qual è l’origine dell’Afrobeats, dove nasce?
Mentre oggi la maggior parte dei fan ritiene che sia la Nigeria ad avergli dato i natali – che del resto dette i natali a Fela Kuti – la storia racconta di club dove ad Accra negli anni Venti del secolo scorso, band all’epoca molto famose diffondevano i suoni dell’highlife.
Termine che si dice derivi dalle abitudini delle élite africane, da un genere di vita bella (anche in termini estetici) spensierata e senza problemi. E molto di questo “ideale” senza dubbio è stato travasato nell’afrobeats.