Il 23 agosto i cittadini dello Zimbabwe sono chiamati a eleggere il presidente e a rinnovare il parlamento.
Per il paese dell’Africa australe dovrebbe trattarsi di un passaggio chiave per rafforzare un processo democratico che stenta a prendere forma.
Un nuovo corso iniziato nel 2017 con la cacciata del dittatore Robert Mugabe (padre dell’indipendenza dal Regno Unito nel 1980) e continuato poi con le elezioni del 2018 che hanno confermato al potere il Fronte patriottico dell’Unione africana dello Zimbabwe (Zanu-Pf) e chiamato alla presidenza Emmerson Mnangagwa.
Ma il presidente uscente, e ricandidato, non si è scostato troppo dai metodi repressivi del suo predecessore, non ha saputo attuare riforme (welfare innanzitutto) e affrontare crisi economica, inflazione e disoccupazione.
A conferma di una situazione difficile, è di oggi un rapporto di Human Rigths Watch che prefigura un voto tutt’altro che libero ed equo.
L’organizzazione non governativa statunitense, che ha intervistato militanti e responsabili politici, denuncia che è in atto una crescente repressione dell’opposizione da parte dello Zanu-Pf. E sottolinea inoltre che la commissione elettorale non è imparziale.
Dunque il principale concorrente di Mnangagwa (80 anni), l’avvocato Nelson Chamisa (45 anni), leader della Coalizione dei cittadini per il cambiamento, ha di fronte una strada scoscesa. Anche se va ricordano che al voto del 2018 aveva ottenuto il 44% dei consensi…
Nigrizia nel numero di luglio/agosto dedica un dossier di 18 pagine alle elezioni in Zimbabwe, passando al setaccio le politiche governative degli ultimi cinque anni, le difficoltà di un’opposizione frammentata, l’iperinflazione che costringe i zimbabweani a rivolgersi al mercato nero delle valute, il sostegno storico di Pechino e Mosca ad Harare.