Una maggiore ricerca ed estrazione di petrolio e gas nella regione dell’Okavango potrebbe mettere a rischio le popolazioni locali e le loro capacità di sostentamento.
Questo perché si contaminerebbero e verrebbero ad esaurirsi le risorse idriche.
Lo afferma un nuovo studio che analizza i risultati estremi a cui potrebbe giungere l’attività della compagnia petrolifera canadese Reconnaissance Energy Africa (ReconAfrica) a cui i governi della Namibia e del Botswana hanno concesso in licenza la prospezione petrolifera nel bacino del fiume Cubango Okavango, in un’area di 34mila km².
In totale, il bacino idrografico copre 700mila km², comprendendo una rete di sistemi fluviali attraverso l’Angola, la Namibia e il Botswana.
Come sottolinea lo studio, la compagnia canadese prevede di sfruttare potenziali riserve di petrolio nel bacino del fiume Cubango Okavango (CORB) in Namibia e Botswana, dove però – avvertono gli esperti – si sa poco dei sistemi di acque sotterranee locali e di come la contaminazione e i suoi effetti potrebbero impattare l’area.
I relatori del documento hanno fatto appunto questo: calcolare le strutture geologiche e le direzioni e velocità dei flussi per rilevare i potenziali effetti di contaminazione derivanti dalle trivellazioni.
I risultati indicano che le acque sotterranee contaminate dalle attività petrolifere potrebbero impiegare dai 3 ai 23 anni per raggiungere il sistema del fiume Okavango attraverso la falda acquifera sabbiosa, che è poco profonda.
Nel peggiore dei casi, poi, la contaminazione potrebbe raggiungere il Delta entro quattro giorni attraverso strutture associate a dighe e faglie che fungono da percorsi di flusso primari.
Va considerato che le acque sotterranee, possono essere facilmente contaminate quando la falda freatica è bassa, proprio come nell’area interessata.
Ecosistema a rischio
Tale contaminazione potrebbe influire negativamente sulla salute umana, sugli ecosistemi e sulla biodiversità della regione. E questo, per lungo tempo a venire.
L’Okavango sostiene oltre mezzo milione di persone in Namibia e Botswana.
Le principali attività di sostentamento nel bacino sono l’agricoltura, l’allevamento, la pesca e il turismo.
Il Delta dell’Okavango, nel Botswana nord occidentale, dove il fiume sfocia nel deserto del Kalahari, dopo quello del Niger è il più grande delta fluviale del mondo.
Patrimonio dell’umanità UNESCO, è una delle più grandi zone umide d’acqua dolce dell’Africa meridionale e ospita oltre 1.000 specie di piante, 480 specie di uccelli, 130 specie di mammiferi e numerose specie di rettili e pesci.
Una zona, dunque, assai sensibile ad azioni esterne che potrebbero turbarne gli equilibri.
Così come vulnerabili sono le popolazioni che di questo tesoro naturalistico hanno sempre vissuto.
Senza contare l’enorme impatto sul Pil ma anche sulle piccole economie locali del turismo legato alla magnificenza di queste zone.
È chiaro quindi che se i possibili impatti sulle risorse idriche destano apprensione, i governi dovrebbero tenerne conto.
Già da tempo la “caccia al fossile” – in tutta l’Africa meridionale e orientale – sta preoccupando le organizzazioni che osservano e denunciano le ripercussioni dell’estrazione massiccia di petrolio e gas.
E, in particolare, la notizia delle concessioni di esplorazione alla ReconAfrica, aveva già provocato reazioni negative.
E mentre la compagnia aveva assicurato la massima attenzione nelle sue operazioni, le organizzazioni ambientaliste avevano presentato un’ingiunzione per chiedere la revoca della licenza concessa dal ministero dell’ambiente e valida fino al 2023.
La nuova valutazione degli studiosi – che si avvale di dati di trivellazione dei ministeri preposti e dei dipartimenti servizi idrici e geologici accessibili al pubblico – smentisce in realtà la valutazione dell’impatto ambientale di ReconAfrica che non ha identificato alcun rischio serio che potrebbe derivare dalle trivellazioni petrolifere nell’area.
Mentre al governo namibiano si rimprovera di aver concesso le licenze di esplorazione senza seguire la dovuta procedura per la valutazione dell’impatto ambientale.
La richiesta è ancora una volta la stessa: revocare (o rivedere) l’autorizzazione alla compagnia canadese.