L’8 febbraio scorso il giornalista Mustapha Bendjama viene arrestato nella redazione de Le Provincial, quotidiano della regione orientale dell’Algeria, di cui Bendjama è caporedattore.
Dopo aver trascorso 12 giorni nella stazione di polizia di Annaba, viene trasferito nel carcere Abdelhamid Boussouf, nella città di Constantina.
Imprigionato diverse volte per aver sostenuto e documentato il movimento per la democrazia Hirak, Bendjama ora è accusato di aver ricevuto finanziamenti esteri, aver diffuso informazioni segrete ed essere implicato nell’affaire Amira Bouraoui: il caso della giornalista e militante franco-algerina che aveva il divieto di lasciare l’Algeria e che scatenò un incidente diplomatico tra Algeri e Parigi.
Il prossimo 21 agosto, la camera d’accusa di Constantina sentenzierà sul caso Bouraoui, su cui il gip si è espresso il 3 agosto in favore di un’archiviazione parziale e dell’abbandono dei capi d’imputazione penali.
Il 22 dello stesso mese, Bendjama sarà giudicato per gli altri capi di accusa, gravanti anche sul ricercatore in geopolitica Raouf Farrah e il dirigente della società pubblica Astrefrade, Habes Mountaha.
Ne abbiamo parlato con Yamina Baïr, giornalista dei media indipendenti Radio M e Maghreb Émergent, tra le fondatrici degli account Freedom for Mustapha Bendjama e Free Mustapha Bendjama che sostengono la liberazione dell’amico e collega.
Perché Mustapha Bendjama è stato arrestato?
L’espatrio di Amira Bouraoui è stato solo un motivo per metterlo in prigione. Mustapha Bendjama e Amira Bouraoui si conoscono, e quest’ultima si trovava con i suoi parenti ad Annaba, prima di lasciare il paese. Anche Mustapha Bendjama vive ad Annaba.
In questa vicenda serviva un capro espiatorio e Mustapha Bendjama è stato il primo a essere preso di mira.
L’attivista Bouraoui ha affermato durante i suoi interventi sui media stranieri, una volta lasciato il paese, che Mustapha Bendjama non l’aveva aiutata e che aveva usato il passaporto della madre per recarsi in Tunisia.
Bendjama è una vittima collaterale di una crisi diplomatica tra Algeri e Parigi. Bisogna aggiungere che Mustapha Bendjama è perseguitato dalle autorità dal 2019, a causa della sua copertura del movimento democratico Hirak. Da allora, gli è stato arbitrariamente vietato di lasciare l’Algeria.
Quali sono le azioni che sta portando avanti il collettivo Freedom for Mustapha Bendjama?
Purtroppo non possiamo fare azioni sul campo perché gli assembramenti sono vietati. Ci assicuriamo che Mustapha Bendjama continui a esistere fuori dal carcere.
Bendjama non ha beneficiato della solidarietà nazionale e internazionale, anche il giornale dove lavora non si è occupato del suo caso.
Dato che pochissimi media parlano di lui, cerchiamo di informare l’opinione pubblica e allo stesso tempo costruiamo uno spazio di condivisione per chi lo sostiene.
Il processo a Mustapha Bendjama si sarebbe dovuto tenere l’8 agosto, poi rinviato al 22 dello stesso mese. Quale risultato è atteso?
L’8 agosto Mustapha Bendjama avrebbe dovuto essere processato per il caso relativo alla ricezione di fondi dall’estero e per aver pubblicato informazioni riservate.
Anche il ricercatore algero-canadese Raouf Farrah, suo padre e il dirigente della società pubblica Astrefrade, Habes Mountaha, dovevano essere processati nello stesso caso.
Personalmente, sono preoccupata. Mustapha Bendjama rischia pene detentive gravose data la pesantezza delle accuse pendenti a suo carico, in entrambi i casi legali che lo vedono a giudizio.
Confido molto nei suoi avvocati perché sono competenti e impegnati negli affari dei detenuti di coscienza. Spero che la giustizia faccia il suo lavoro e che vengano rilasciati.
Il giornalista Ihsane El Kadi è stato condannato in appello a 7 anni di carcere. Alle testate da lui fondate, Radio M e Maghreb Émergent, sono stati posti i sigilli. Come continuano a lavorare i giornalisti che lavorano per questi media?
Abbiamo continuato a garantire la produzione dei programmi per alcuni mesi in telelavoro e con i mezzi a disposizione, ma è diventato difficile mantenere la continuità della produzione.
Al momento restano solo i siti internet di Radio M e Maghreb Émergent, che risultano censurati in Algeria. È possibile accedervi solo tramite una rete VPN.
Il tribunale ha pronunciato in contumacia lo scioglimento della società Interface Médias, editore di Radio M e Maghreb Émergent, e ha inflitto una pesante multa da pagare. Gli avvocati si opporranno a tale sentenza.
In attesa che tutto questo si risolva, stiamo cercando di garantire la continuità del servizio pubblico sui siti internet con molte difficoltà socio-professionali.
Come vede il suo futuro professionale?
Il futuro della stampa e dei giornalisti in Algeria è preoccupante. Siamo pochi giornalisti a continuare a difendere la libertà di stampa in Algeria, ma continuiamo nonostante il contesto repressivo post-Hirak.
Da un lato, vi è l’intento di difendere le libertà democratiche in generale e la libertà di stampa in particolare, e per questo giornalisti, attivisti e cittadini si ritrovano in carcere.
Dall’altro, si cerca di disinformare l’opinione pubblica e di mettere a tacere ogni voce dissenziente. Attualmente, non riesco a pensare a un futuro migliore prima di pensare a risolvere i problemi del presente.
Qual è lo stato della libertà di stampa in Algeria?
C’è un soffocamento dei media indipendenti che è aumentato negli ultimi due anni. Anche i media un po’ critici nei confronti del potere purtroppo si sono allineati.
È diventato quasi impossibile praticare il giornalismo in Algeria. I media sono sottoposti a forti pressioni politiche ed economiche e l’accesso alle informazioni è diventato molto limitato.
Inoltre, e purtroppo, la maggior parte dei media algerini pensa solo agli introiti pubblicitari e dimentica la loro missione principale, che è quella di riportare la verità e informare l’opinione pubblica.