Il governo di Félix Tshisekedi – che il 20 dicembre si ripresenterà per un secondo mandato presidenziale – ha dovuto dare un segnale, dopo i gravi fatti accaduti mercoledì 30 agosto a Goma, capoluogo della provincia del Nord Kivu.
Per impedire una manifestazione contro la Monusco (missione Onu in Congo) e le forze della Comunità dell’Africa orientale – accusate di non essere efficaci contro l’instabilità che attraversa la regione del nordest da 30 anni – le forze armate congolesi hanno ucciso una cinquantina di persone e ferito altre 70.
Stamani il ministro dell’interno Peter Kazadi ha annunciato l’arresto del comandante di una brigata della guardia presidenziale e del comandante del reggimento di stanza a Goma.
Il ministro ha aggiunto che «il processo sarà organizzato nelle prossime ore per stabilire di chi sono le responsabilità». E ha chiesto ai cittadini e alle famiglie coinvolti nei fatti di farsi avanti e di costituirsi parte civile nel processo.
Kazadi, accompagnato dal ministro della difesa Jean-Pierre Bemba, era arrivato a Goma sabato scorso.
L’operazione militare del 30 agosto aveva lo scopo di impedire una manifestazione che una setta locale – Foi naturelle judaïque messianique vers les nations – stava organizzando per ribadire (come numerose altre volte è avvenuto in questi anni) che per neutralizzare i gruppi armati serve ben altro che la Monusco e i soldati della Comunità dell’Africa orientale.
La setta sostiene di seguire le orme di Patrice Lumumba (il primo primo ministro della Rd Congo indipendente, assassinato nel gennaio 1961).
Gli uomini delle forze armate congolesi – che sostengono di aver dovuto affrontare rivoltosi armati e drogati – hanno compiuto una vera e propria operazione di guerra, coinvolgendo la chiesa e la radio del gruppo religioso. Fonti dell’esercito dicono di 48 morti e 75 feriti, mentre il governo fa un bilancio di 43 morti e 56 feriti.
Venerdì scorso, l’Alto commissariato Onu per i diritti umani aveva chiesto si aprisse un’inchiesta «esaustiva e imparziale».