«Un elemento importante nella nostra missione è la volontà di testimoniare e comunicare. È un lavoro quotidiano, fondamentale per un operatore umanitario, e fa parte del dna di Medici senza frontiere dall’inizio della sua storia, nel 1970».
Così Stefano Di Carlo, direttore generale di Msf Italia, al Festivaletteratura di Mantova da poco concluso, ha evidenziato il valore della testimonianza pubblica presentando il libro Umanità in bilico (Infinito) che racconta i primi 25 anni dell’attività di Msf sul territorio italiano.
Presente nel mondo in 73 paesi con 67 mila operatori, dal 1998 Medici Senza Frontiere lavora anche in Italia in supporto degli esclusi, persone migranti ma anche popolazione locale in condizioni di fragilità sociale.
E le storie raccolte da Giuseppe De Mola, impegnato da anni all’interno dell’ong in Italia e all’estero, sono appunto le testimonianze di medici, infermieri, logisti: le loro esperienze di vita e lavoro da Gorizia, luogo di arrivo della rotta balcanica, a Lampedusa, l’isola simbolo degli sbarchi di tutti i disperati in fuga dall’Africa subsahariana e non solo.
Geo Barents
Dal 2015 le navi di Msf che hanno operato nel Mediterraneo (dal 2021 è attiva la Geo Barents dotata di una clinica e di sala parto) hanno tratto in salvo 88.186 persone in 784 operazioni, ma il numero dei salvataggi in mare è calato drasticamente a causa delle nuove normative varate dal governo che penalizzano le ong ostacolando le operazioni di ricerca e soccorso.
Un lavoro delicato e di grande responsabilità quello di salvare vite in mare: «Il momento più difficile è quando il nostro gommone avvicina la barca in difficoltà carica di migranti: ogni mio atto ha una conseguenza immediata sulle loro esistenze, un minuto di ritardo o un gesto sbagliato da parte mia e scomparirebbero nel nulla, è il racconto di una operatrice. È come aiutarli a nascere una seconda volta».
Nella primavera del 2020 a Msf è stato chiesto di intervenire in alcuni ospedali lombardi colpiti dall’improvvisa emergenza Covid. «Ciò che serviva era la nostra esperienza nell’affrontare le epidemie, come Ebola e la febbre di Lassa. La prima volta che sono entrato nel Pronto Soccorso dell’ospedale di Lodi, il 10 marzo 2020, mi sembrava di essere in uno degli ospedali di Msf in Congo nel corso di una epidemia – ricorda un medico –, sono rimasto scosso. Scegliere chi ammettere alle terapie intensive, fare il triage, situazione nella quale ci siamo ritrovati più volte con Ebola, era reso più difficile per la vicinanza linguistica e culturale con gli ammalati».
Nel modo di intervenire degli operatori di Msf è fondamentale la carica di empatia verso chi si aiuta: «Riconoscere l’altro, riuscire a creare un momento di prossimità, far sentire l’accoglienza con un gesto, un sorriso, uno sguardo», sottolinea Stefano Di Carlo. «Il rischio, sbarco dopo sbarco o nella quotidianità di una emergenza, è di diventare insensibili perdendo la nostra umanità»
Progetti
Attualmente Msf Italia gestisce tre progetti sulla terraferma: a Palermo un ambulatorio interdisciplinare per la riabilitazione di migranti e rifugiati sopravvissuti a violenza intenzionale e tortura. In Calabria, a Roccella Jonica, per offrire prima assistenza medica e psicologica ai sopravvissuti ai naufragi nel Mediterraneo. Nell’area di Ventimiglia, una clinica mobile offre alla popolazione migrante cure mediche, con un focus particolare sulla salute sessuale e riproduttiva della donna, orientamento sociosanitario e attività di promozione alla salute.
Inoltre a Palermo, Roma, Torino e Udine, grazie al contributo dei volontari, gestisce degli sportelli per fornire assistenza sociosanitaria alla popolazione straniera e italiana in condizioni di marginalità.
Nel futuro dell’organizzazione c’è anche l’ampliamento del progetto Scuole senza frontiere, che si propone di far conoscere nelle classi le crisi umanitarie e le storie delle persone che le vivono ed educare a sviluppare il senso di solidarietà umana.