A 68 anni, una vasta esperienza nel campo della ginecologia e un impegno da cittadino attivo in quanto figura di spicco della società civile congolese (l’uno e l’altro gli sono valsi il premio Nobel per la pace nel 2018), Denis Mukwege si candida alle elezioni presidenziali che si terranno il 20 dicembre prossimo nella Repubblica democratica del Congo.
Lo sostiene una coalizione di otto partiti, Alleanza dei congolesi per la rifondazione della nazione, che si è costituita lo scorso maggio. E lo sostiene un vasto arcipelago di società civile, soprattutto del nordest del paese, che il 16 settembre gli ha recapitato un assegno di 100mila dollari, che è la cauzione necessaria per potersi presentare alle presidenziali.
Le prossime settimane ci diranno se è una buona notizia. Perché, al netto della sua statura morale e del suo essere punto di riferimento per una parte dei congolesi, il dottor Mukwege si catapulta in una competizione che vede in campo protagonisti che dispongono di mezzi cospicui e di spalle politiche ben più larghe delle sue.
A cominciare dal presidente uscente Félix Tshisekedi, dall’ex governatore della provincia del Katanga Moise Katumbi, già in campagna elettorale, e da Martin Fayulu che si presenta come espressione della società civile, e con l’esperienza del voto del 2018 quando, pur con l’appoggio della Chiesa e del mondo cattolico, fu defraudato della vittoria grazie a manovre della Commissione elettorale e della Corte costituzionale.
È chiaro che la “variabile Mukwege” complica ulteriormente il quadro elettorale di coloro che si presentano come alternativa a Tshisekedi. E obbliga i maggiori protagonisti a trovare un accordo, specie in considerazione del fatto che lo scrutinio presidenziale è a un solo turno.
Ma un accordo su una figura che maggiormente garantisca la possibilità di vincere prevede che qualcuno debba fare un passo indietro. Diversamente la discesa in campo del dottor Mukwege non fa altro che frammentare ulteriormente quello che si qualifica come il fronte del cambiamento. (RZ)