In Sudafrica la fragilità che caratterizza alcune infrastrutture chiave sta avendo un impatto anche sul settore minerario, responsabile da solo per quasi il 60% di tutte le esportazioni del paese.
Nell’ultimo anno il comparto, che resta comunque solido, ha perso circa 100 miliardi di rand di profitti, quasi 5 miliardi di euro. Calato di conseguenza di oltre un terzo anche il contributo fiscale del settore, con possibili conseguenze sulle casse di Pretoria, già alle prese con una fase complessa.
Dati che emergono da un report stilato dalla società di consulenza multinazionale PWC a partire dall’analisi di 29 industrie del settore.
Nell’ultimo anno fiscale, da giugno 2022 a giugno 2023, gli utili netti delle imprese minerarie sono passati da 206 a 108 miliardi di rand, quindi da circa dieci a poco più di cinque miliardi di euro.
Occorre specificare che il settore veniva da due anni record e che il dato relativo al 2022/2023 è comunque superiore ai 32 miliardi registrati nel 2019 e alla perdita di undici miliardi che si è verificata nel 2018.
Insieme ai profitti è poi diminuita anche la spesa fiscale del comparto minerario, scesa del 34%.
Lo spettro di una crisi finanziaria è stato chiamato in causa nei giorni scorsi dal ministero del tesoro. Secondo un’analisi del think tank sudafricano Institute for Economic Justice (IEJ) il deficit di entrate previsto per l’anno 2023/2024 è di circa 67 miliardi di rand, poco più di tre miliardi di euro. Un dato questo, in realtà in linea con quelli degli ultimi sei anni.
Cause strutturali
Come specifica PWC, fra le cause principali della tendenza che si evince dal report c’è anche la crisi che stanno affrontando le infrastrutture del paese e in modo particolare l’inefficienza della rete ferroviaria.
Il carbone partito dal principale hub di esportazione della materia prima in Africa, il Richards Bay Coal Terminal (RBCT) nel porto di Richards Bay, sull’Oceano Indiano, è diminuito l’anno scorso del 30% soprattutto a causa di problemi lungo la linea tranviaria.
Un impatto ce l’hanno avuto anche i continui razionamenti di energia elettrica imposti nel paese a causa della crisi in cui versa l’azienda nazionale Eskom, oltre che la diminuzione dei prezzi di alcuni minerali e in modo particolare di quelli del gruppo del platino, che da solo rappresenta circa la metà delle entrate totali del settore.
A queste dinamiche nazionali si aggiunge la strategia globale di drastica riduzione delle emissioni suggellata dagli accordi di Parigi del 2015, che punta ad azzerarle entro il 2050 e che obbliga tutto il settore minerario a una rimodulazione delle priorità verso gli elementi critici per la transizione.
Oltre a questo, alcune riserve minerarie del Sudafrica potrebbero esaurirsi in circa sei anni, avverte Pwc, con conseguenze potenzialmente serie per parte delle oltre 470mila persone impiegate nel settore.
Le società minerarie sudafricane restano comunque con dei bilanci solidi; la debolezza del rand ha inoltre diminuito l’impatto dell’aumento di prezzo di alcune materie prime importate necessarie alle produzione. Gli investimenti nel settore aumentano, così come si allarga l’orizzonte del settore.
In settimana il ministero dell’ambiente ha dato il via libera a nuove trivellazioni offshore al largo della provincia di Western Cape della multinazionale francese Total, nonostante la proteste di ambientalisti e società civile.