Il Sudafrica si è offerto di “condividere la sua esperienza nella mediazione e nella risoluzione dei conflitti” nel contesto della guerra in corso fra Israele e gruppi armati palestinesi. Pretoria non sembra essere un interlocutore credibile però, visto il suo lungo sostegno alla causa palestinese e i complessi rapporti con Tel Aviv.
il 7 ottobre scorso il partito-milizia di Hamas, che controlla Gaza, ha lanciato un’inedita offensiva via aria e via terra contro Israele, ultimo capitolo di oltre 70 anni di guerre e tensioni. Le forze armate israeliane hanno risposto bombardando Gaza e di fatto cingendola in assedio e imponendo un blocco all’approvvigionamento dei beni essenziali per la popolazione. Oltre 1.600 le vittime delle ostilità fino a ora.
L’iniziativa in Ucraina
Pretoria guida un’iniziativa africana di mediazione nel conflitto fra Ucraìna e Russia che secondo diversi analisti concordanti starebbe portando alcuni frutti. Se non altro quella africana è una delle poche realtà impegnate a negoziare nel conflitto che interloquisce sia col presidente ucraino Volodymyr Zelensky sia con l’omologo russo Vladimir Putin, non ritenuto controparte valida da buona parte della comunità internazionale.
Il Sudafrica è riconosciuto nel mondo per l’esperienza maturata nel processo di riconciliazione nazionale che negli anni ’90 ha seguito la fine di circa 50 anni di segregazione razziale, ma può avere credibilità anche nello scenario israelo-palestinese?
Rapporti diplomatici “limitati”
Occorre fare delle premesse. Oggi i rapporti diplomatici fra Sudafrica e Israele, come spiega la stessa diplomazia di Pretoria, sono “limitati, principalmente a causa dell’atteggiamento antagonista di Israele nei confronti del processo di pace in Medio Oriente e del disprezzo per il diritto internazionale”.
Il Sudafrica, che sostiene la posizione cosiddetta dei “due popoli due Stati” e il rispetto dei confini stabiliti da una risoluzione ONU del 1967, accusa Tel Aviv di condurre nei territori occupati palestinesi una politica di segregazione su base etnica assimilabile al sistema di apartheid che è stato imposto fino al 1994 contro la popolazione sudafricana non bianca.
Dal 2019 a Tel Aviv non c’è un ambasciatore sudafricano ma solo un incaricato di affari. Lo scorso marzo il parlamento del paese africano ha approvato una mozione per spingere l’esecutivo a insistere lungo il suo cammino di ridimensionamento delle relazioni con Israele.
Allo stesso tempo Pretoria ha allacciato rapporti diplomatici con la Palestina nel 1995, un anno dopo la fine dell’apartheid e la salita al potere dell’African National Congress (ANC), da allora sempre alla guida del governo. Il Sudafrica può contare su un ufficio di rappresentanza a Ramallah, la capitale dell’ipotetico Stato della Palestina, solo parzialmente riconosciuto, e l’ANC ha da sempre espresso il suo sostegno alla causa palestinese.
La politica sudafricana in queste ore si è divisa. Nella nota in cui si invoca una tregua però, il governo sudafricano del presidente Cyril Ramaphosa ha affermato che quest’ultima fase del conflitto scaturirebbe “dalla continua occupazione illegale della terra palestinese” e da altre politiche di Israele ritenute illegittime.
“Credibile come sarebbe la Bielorussia”
Questo approccio potrebbe fare da ostacolo insormontabile a una mediazione a guida sudafricana. Secondo Zev Krengel, vice presidente del South African Jewish Board of Deputies (SAJBD), la più importante organizzazione della comunità ebraica sudafricana, Pretoria “potrebbe giocare un ruolo” vista la sua capacità di farsi ascoltare da Hamas, ma al contempo potrebbe non essere ritenuto un mediatore onesto da Tel Aviv. «È un po’ come se la Bielorussia alleata di Putin gestisse le negoziazioni nella guerra in Ucraìna», ha affermato Krengel.
Non è della stessa linea la direttrice del SA Institute of International Affairs, Elizabeth Sidiropoulos, rilanciata dal quotidiano Daily Maverick. “Per il Sudafrica c’è potenzialmente un’opportunità, come con l’Ucraìna, di utilizzare i suoi buoni rapporti con una parte, lavorando insieme ad altre attori”, il ragionamento dell’esperta.
Il Sudafrica ha già promosso delle mediazioni fra Israele e Palestina nel 2002, su impulso dell’allora presidente Thambo Mbeki. L’iniziativa, che ha visto confrontarsi esponenti dei due partiti di governo all’epoca, Likud e Fatah, non ha portato a risultati tangibili anche a causa di una perdita di sostengo da parte israeliana.