Nella solita ottica eurocentrica quando si parla di emigrazione “irregolare” dall’Africa la si inserisce nel quadro di un “problema che affligge il nostro continente”, l’Europa appunto.
Spostare il punto di vista è quello che hanno fatto i giornalisti (africani) che hanno condotto una serie di interviste e ricerche in cinque paesi per cercare di rispondere alla domanda chiave: perché i giovani vogliono migrare.
Il lavoro investigativo – svolto in Camerun, Nigeria, Uganda, Kenya, Zimbabwe – è stato pubblicato su ZAM, piattaforma no-profit che diffonde storie e analisi dal continente.
Partire a ogni costo
Il primo elemento che emerge è che esiste un tale bisogno di partire che i migranti rischiano consapevolmente l’estorsione da parte dei trafficanti, gli abusi, lo sfruttamento del lavoro e persino la morte.
Inutili, dunque, le campagne di sensibilizzazione (che vorrebbero tra l’altro instillare la paura – o almeno presentare i rischi insiti nel viaggio – in chi sta pensando di raggiungere l’Europa) finanziate dalle istituzioni europee o nazionali.
Meglio il rischio e l’incertezza – secondo quanto è emerso dalle dichiarazioni degli intervistati – che quelle certezze con cui fanno i conti tutti i giorni nei loro paesi.
A cominciare dall’essere governati da leader repressivi, dal dover fare i conti con una corruzione che vanifica gli sforzi di chi tenta le strade normali e magari meritocratiche per un lavoro (il tasso di disoccupazione giovanile nei paesi oggetto dell’analisi varia dal 40 al 70%), un letto in ospedale in caso di malattia, un sistema educativo che dia reali speranze per il futuro.
Quasi tutti gli aspiranti migranti hanno descritto i loro governi come incapaci e preoccupati principalmente di “mangiare dalle casse dello Stato”, invece di prestare attenzione ai bisogni dei cittadini.
Tra i giovani intervistati anche medici, insegnanti, persone con competenze qualificate e quindi ancora più frustrate per la difficoltà di trovare uno spazio adeguato nella propria comunità.
Ma, nonostante sia ormai chiaro – anche secondo studi e ricerche in ambito europeo – che le nostre economie trarrebbero grandi benefici dall’utilizzo di manodopera proveniente dall’estero, l’approccio continua ad essere securitario, dello sbarramento dei confini e di programmi e accordi con i governi dei paesi africani al fine di tenere sotto controllo i flussi migratori.
Fatto sta che tutte queste politiche non stanno facendo altro che provocare danni, acuire i problemi, crearne degli altri e stimolare ancor di più criticità, come la corruzione degli apparati a cui arrivano i soldi dell’Europa e l’intensificarsi di governi repressivi.
Ed ecco che la crisi migratoria diventa un incubo – come scrivono i giornalisti di ZAM – per l’Africa stessa.
Un incubo per chi non ha speranze in casa ma non riesce nemmeno a partire per mancanza del denaro necessario, che però si trasforma in business per molti altri.
Soldi buttati (nelle tasche sbagliate)
È accaduto, per esempio, con un progetto di controllo delle frontiere e di un nuovo sistema di passaporti digitali per la Nigeria, finanziato dall’UE per un importo di 250 milioni di euro.
Ebbene, alla fine è emerso che il sistema ha generato vantaggi (mazzette) per uomini d’affari e funzionari chiave della dogana nigeriana, mentre i confini del paese rimanevano gli stessi di sempre. Porosi e attraversabili senza particolari problemi.
Come pure assai incerti nei risultati sono i programmi di sviluppo in Africa, che dovrebbero ancorare i cittadini ai loro territori, o quelli di ritorno per i migranti spesso provenienti dai centri di detenzioni libici o algerini.
Programmi di rimpatrio volontario che, si è scoperto, falliscono almeno nel 60% dei casi. Alcuni giovani hanno persino ammesso di aver venduto i loro “starter packs” (un sostegno iniziale per avviare una propria attività) e sono di nuovo ripartiti, sperando questa volta di farcela.
Anche la tesi a favore di maggiori aiuti allo sviluppo, sostenuta dai leader occidentali come strumento per scoraggiare l’emigrazione dall’Africa, è un errore, si legge nell’analisi.
La Repubblica democratica del Congo riceve 3,5 miliardi di dollari ogni anno ma rimane uno dei paesi più poveri del mondo, nonostante sia il più ricco in termini di risorse minerarie: mentre gli aiuti in euro, sterline e dollari finanziano soprattutto il sistema clientelare, i proventi minerari non raggiungono quasi mai le casse statali.
Oltretutto l’impressione dei giovani è che si continui a passare sulle loro teste per mere questioni economiche e geopolitiche.
Le strategie dell’Europa e dell’Occidente in genere, tendono a guardare ai propri interessi, partenariati e convenienze politiche (per esempio, recentemente il contrasto alla Russia di Putin e alla Cina), ma questo spesso vuol dire fare accordi e sostenere leader invisi al popolo, veri e propri dittatori.
Insomma, tutti motivi che hanno fatto perdere fiducia ai giovani e che alimentano il loro desiderio di emigrare. Tutto ciò però ben lontano dall’adattarsi alla falsa narrativa di una migrazione di massa.
Intrappolati
Come denunciano i giornalisti che hanno portato avanti l’inchiesta, la stragrande maggioranza dei migranti rimane bloccata nei paesi del Sahel e del Nordafrica, principalmente a causa della mancanza di denaro e di una costa sempre più strettamente pattugliata e piena di centri di detenzione.
Mentre centinaia di migliaia di persone restano intrappolate in situazioni di sfruttamento lavorativo negli Stati del Golfo e professionisti ben formati lasciano in massa lo Zimbabwe per il Sudafrica.
Sono pochi gli elementi che indichino che i regimi africani stiano seriamente cercando di frenare la migrazione “in partenariato” con l’Europa.
I confini porosi e il lucroso coinvolgimento dei funzionari governativi nel traffico di esseri umani rimangono la pura realtà.
E, alla fin fine, sono i miliardi di rimesse dalla diaspora ai paesi di origine (la stima è di 91 miliardi di dollari all’anno) che forniscono iniezioni finanziarie tanto necessarie alle economie africane in difficoltà.
Nel frattempo l’Africa pullula di personaggi in grado di giocare sulla buona fede e la speranza di chi non aspira ad altro che a un futuro diverso.
Dai predicatori che si fanno pagare fior di quattrini per pregare ardentemente per la concessione di un visto, a chi i visti li mette in vendita (e quelli Schengen valgono più degli altri), agli Stati stessi – le tasse sui passaporti sono un’altra mucca da mungere per i paesi da cui decine di migliaia chiedono a gran voce di andarsene -.
E c’è anche chi dell’esternalizzazione del lavoro ha fatto la sua fortuna (e la sfortuna di chi poi si ritrova schiavo e privato del passaporto in paesi dove non conosce nessuno, tranne il datore di lavoro, e neanche la lingua).