L’annosa questione sulla necessità per l’Etiopia di ottenere uno sbocco sul Mar Rosso, obiettivo precluso fin dal 1993, anno dell’indipendenza ufficiale dell’Eritrea, è tornata prepotentemente alla ribalta il 13 ottobre scorso, durante una seduta del parlamento ad Addis Abeba.
Nell’occasione è stata presentata una bozza di documento, paradossalmente elaborata dal ministero della pace, che mira a riaffermare gli interessi strategici ed economici nazionali dell’Etiopia nel Mar Rosso.
Intitolato L’interesse nazionale dell’Etiopia: principi e contenuti, il documento sottolinea l’urgenza per il paese del Corno d’Africa di avere accesso al Mar Rosso e, in base al suo presunto diritto, di costruire e utilizzare un proprio porto nella regione.
Essendo il Mar Rosso un luogo strategico, che attira le superpotenze concorrenti per conquistarsi un posto nell’area, si legge nel documento, l’Etiopia “dovrebbe impegnarsi con le altre nazioni del Corno per garantire il proprio accesso ai porti ed essere in grado di superare le proprie difficoltà geostrategiche”.
Intervenendo nel dibattito, il primo ministro Abiy Ahmed – alle prese da tempo con una serie di irrisolti conflitti interni – ha detto tra l’altro: «Il Mar Rosso e il fiume Nilo definiscono l’Etiopia, sono la base del suo sviluppo o della sua scomparsa», ripetendo poi gli stessi concetti in un’intervista trasmessa dall’emittente statale Fana.
Il primo ministro ha inteso così rivendicare i «diritti naturali» dell’Etiopia riguardo all’accesso diretto al Mar Rosso, affermando che – se questo fosse negato – non ci sarebbe equità e giustizia.
E non ha escluso che l’intenzione del governo sia quella di battersi, diplomaticamente o militarmente, se la richiesta non venisse presa in considerazione.
«Vogliamo ottenere un porto con mezzi pacifici, ma se ciò fallisse, useremo la forza», ha affermato.
Reazioni regionali
Le dichiarazioni del premier hanno suscitato grave preoccupazione da parte dei paesi limitrofi all’Etiopia, per nulla interessati a concedergli parti di territorio e timorosi che la presa di posizione di Addis Abeba possa condurre ad un ennesimo conflitto nel Corno d’Africa, in particolare con il vicino eritreo.
Dalla preclusione dell’accesso al mare in seguito all’indipendenza dell’Eritrea nel 1993, l’Etiopia di fatto dipende dal vicino Gibuti per oltre l’85% delle sue importazioni ed esportazioni.
Una dipendenza estremamente costosa, che frena l’obiettivo di Addis Abeba di aumentare le proprie ambizioni commerciali fino al 2025.
L’Etiopia, come noto, nel 2018 aveva ricucito le proprie relazioni con l’Eritrea dopo tre decenni di conflitto, firmando la pace ad Asmara. Un’iniziativa che fruttò il premio Nobel per la pace a Abiy Ahmed.
Ma la frustrazione per la perdita del porto di Massaua, il più grande porto naturale in acque profonde del Mar Rosso, e per quello ancor più strategico di Assab, è rimasta viva e oggi questa pretesa potrebbe far saltare la pace tra i due paesi.
Anche perché, dopo la collaborazione militare tra Addis Abeba e Asmara contro la ribellione armata nel Tigray, i rapporti tra i vicini sono in costante peggioramento, mentre truppe eritree continuano a permanere operative oltreconfine.
Peraltro, sia l’Eritrea che la Somalia e Gibuti – attraverso cui viaggia già il traffico commerciale marittimo da e verso l’Etiopia – hanno reagito subito negativamente in merito ai progetti di Addis Abeba.
Il Corno d’Africa, come risaputo, ha una lunga storia di importanza geopolitica. Serve da ponte tra l’Asia e l’Europa. Il Mar Rosso e il Canale di Suez sono rotte chiave per il commercio globale.
In passato, quest’area ha dovuto affrontare numerosi conflitti per le dispute legate ai confini e alla condivisione delle risorse. Un esempio è stata proprio la guerra tra Etiopia ed Eritrea combattuta tra il 1998 e il 2000.
La ‘Nuova via della seta’ cinese
Per Addis Abeba l’accesso al mare diventa ancora più urgente se inquadrato nel rilancio della Nuova via della seta (Belt and Road Initiative – BRI), il maxi progetto infrastrutturale promosso dalla Cina, solido partner dell’Etiopia.
Per mezzo dei porti, Addis Abeba eviterebbe il rischio di rimanere esclusa dal grande progetto strategico cinese e, più in generale, si troverebbe indebolita riguardo all’influsso che intende esercitare sulla regione in campo infrastrutturale.
Non è un caso che, durante la sua visita a Pechino la scorsa settimana per partecipare al terzo Forum BRI, il primo ministro sia riuscito a ottenere la promessa cinese di investire ancor più nei parchi industriali etiopici, oltre che di un rafforzamento della partnership tra i due paesi, definito di “cooperazione strategica a tutti i livelli”.
A margine del Forum, Abiy ha anche avuto una serie di colloqui bilaterali con il primo ministro Li Qiang, con Dilma Rousseff, presidente della Nuova banca per lo sviluppo (la banca dei paesi BRICS che ad agosto hanno ammesso l’Etiopia nel gruppo) e con altri funzionari di Pechino.
Va detto infine che anche il cambiamento climatico pone nuove sfide. Inondazioni, siccità e altri disastri sono oggi più frequenti. La leadership in questi paesi deve gestire sia vecchi conflitti che nuove questioni globali.
Trovare un approccio comune appare in ogni caso fondamentale per la stabilità e la crescita di tutto il Corno d’Africa.