Presentata la 33ª edizione di quello strumento corposo, necessario e analitico che è il Dossier statistico immigrazione, curato annualmente dal Centro Studi e Ricerche Idos, in collaborazione con il Centro Studi Confronti, l’Istituto di Studi Politici “S. Pio V”, e il sostegno economico della Chiesa Valdese.
Un testo che fotografa la deriva legata a un fenomeno migratorio che non si gestisce.
Un fenomeno che, a fine del 2022, è raccontato come un flusso mondiale di persone in movimento che conta circa 295 milioni di uomini, donne, bambine e bambini, nati in un paese diverso da quello di residenza. Il che vuol dire un abitante ogni trenta sulla terra.
Un numero in crescita, cui si aggiunge quello delle persone sfollate interne, cioè che si trovano all’interno dello stato di nascita ma non nel proprio comune/regione di residenza, che è pari a 62,5 milioni e delle 35 milioni di richiedenti e titolari di protezione.
Un numero che ancora risente della guerra in Ucraìna, che ha aumentato di 5,9 milioni le persone sfollate interne e di 5,7 milioni quello dei titolari di protezione, concentrate per lo più in paesi europei.
Stringendo il campo all’Italia il fenomeno migratorio, seppur presente, non aumenta di numero. Anzi oramai da un quinquennio la popolazione residente di origine straniera è ferma ai 5 milioni di persone, l’8,6% della popolazione del nostro paese.
A crescere di numero sono coloro che, italiani, vanno via: sono infatti quasi 6 milioni le cittadine e cittadini italiani residenti all’estero. In barba alle narrazioni dunque, l’Italia è un paese di emigrazione e non di immigrazione.
E non vi è nessuna invasione né sostituzione etnica, ma solo stabilità di presenze che poi spariscono dal conteggio perché o lasciano il paese o, vista la lunga residenza, acquisiscono cittadinanza (133.236 nel 2022).
E tutto questo finisce per non compensare più il saldo della popolazione che, dal 2020 al 2022, registra oltre un milione di unità in meno, per quel che riguarda le persone italiane e un appena 140mila in più per le straniere.
Politiche fallimentari
Quel che mette in evidenza il Dossier è un continuo ritardo dell’Italia nella comprensione di questo fenomeno diventato strutturale, ritardo che ha segnato e continua a segnare una mancata gestione politica.
“Siamo presbiti” infatti nel mettere a fuoco una realtà oramai palese; “siamo miopi” viste le decisioni politiche incapaci di vedere lontano, proporre soluzioni lungimiranti, di ampio respiro; e “siamo astigmatici”, avendo una visione sdoppiata che non ci fa distinguere la realtà dalla rappresentazione.
E così, lo spiega bene nell’introduzione il presidente di Idos, Luca Di Sciullo, finiamo ostaggi di due paradossi: quello di ridurre la questione migratoria agli sbarchi via mare, per cui si parla di migranti e si vedono solo barconi e non possibilità; e quello di rimanere ingabbiati in una metamorfosi che ha visto trasformarsi l’atteggiamento comune nei confronti di chi arriva nel nostro paese, dall’empatia al sospetto e all’odio.
Un approccio da cui nasce il sistema dei CPR, Centri per il rimpatrio, in vigore oramai da 25 anni, che ha mostrato tutta la sua inefficacia.
Lo scorso anno infatti solo l’11,7% delle persone migranti raggiunte da un provvedimento di espulsione (36.770) e per il 49,1% transitate nei CPR (6.383) sono state effettivamente rimpatriate, a fronte di un numero di oltre 500mila persone irregolari.
Cifra anche questa stabile nel tempo, nonostante l’ondivaga narrazione dell’evasione, e soprattutto nonostante ci siano state ben otto regolarizzazioni in 37 anni.
Con un notevole costo economico, basti pensare che l’Italia ha affrontato una spesa di 56 milioni di euro solo per la gestione nell’ultimo triennio. Costo di denaro cui si deve sommare un “costo” umano dato da gravi violazioni dei diritti umani.
Tra domande asilo, permessi e decreti flussi
E tutto questo mentre si assestano, dopo che i decreti Salvini avevano abolito il permesso umanitario e la pandemia bloccato gli accessi, i valori delle domande di soggiorno.
Aumentano infatti le persone titolari di un permesso a termine (1.486.000 a fine 2022: +267mila annui), che risultano essere il 39,9% di tutte le persone soggiornanti, e diminuiscono in parallelo i cosiddetti lungosoggiornanti (2.241.000: -101mila), principalmente, come scritto, perché richiedono di diventare italiani dopo almeno dieci anni che risiedono nel nostro paese.
Tra i 449mila nuovi permessi rilasciati nel 2022 (242mila del 2021) le motivazioni sono per lo più protezione (45,1%), ricongiungimenti famigliari (27,7%), lavoro (14,4%) e post-regolarizzazione (10,9%).
Voce a parte merita l’ampliamento delle quote di ingresso per lavoratori e lavoratrici stranieri (452mila nel triennio 2023-2025), legato al Decreto flussi dello scorso 27 settembre 2023.
Un incremento di numero chiesto dalle imprese che non trovano manodopera e che hanno già sottolineato essere un aumento insufficiente rispetto al fabbisogno triennale, stimato in circa 830mila unità.
Una richiesta che dovrebbe far leva sul mancato meccanismo di regolarizzazione di chi è già sul territorio italiano e potrebbe rispondere a un’offerta di lavoro, se solo fosse messo nelle condizioni di accedere a un permesso.
Una procedura certo più semplice della cosiddetta chiamata al buio dal paese d’origine, prevista dal Decreto flussi e, nella realtà, inesistente.
Soprattutto alla luce del contributo positivo dato dalla presenza migrante nel mondo del lavoro e per l’economia del paese, a cui contribuiscono versando 6,5 miliardi di tasse nelle casse dello stato.
Canali di ingresso sicuri e legali potrebbero apportare un flusso diverso, non ostacolato da politiche che non fanno altro che aumentare la pericolosità dei viaggi e l’irregolarità di chi arriva in Italia.