Ci sono quattro paesi africani tra gli ultimi dieci nella classifica frutto dell’analisi del World Justice Project (WJP). Un’analisi relativa allo stato di diritto nel mondo.
Vale a dire il modo in cui i governi delle singole nazioni assicurano o meno la salvaguardia e il rispetto dei diritti e delle libertà dei cittadini. Cosa che presuppone che lo stesso Stato risponda alle norme del diritto e delle leggi.
I quattro paesi in fondo alla classifica sono Mauritania, Camerun, Egitto, Repubblica democratica del Congo.
A questi vanno aggiunti quelli in cui lo stato di diritto risulta fortemente in declino. Parliamo di Sierra Leone, Etiopia, Burkina Faso, Mozambico, Mali, Sudan.
Mentre – si legge nell’Index del WJP – c’è un paese come lo Zimbabwe che, seppure di pochi punti e in maniera sorprendente rispetto alla ancora difficile situazione di repressione delle libertà civili – è riuscito a contrastare le tendenze globali e a rafforzare maggiormente lo stato di diritto in casa propria. Migliorate anche le “prestazioni” del Kenya.
È a partire dal 2016 – affermano gli analisti – che si è cominciata a registrare una regressione nel rispetto dei diritti e delle leggi a tutela di questi ultimi.
In totale sei miliardi di persone in tutto il mondo oggi vivono in paesi in cui corruzione, insicurezza, violenze anche da parte dei governi, assenza di diritto nella maggior parte dei campi del vivere civile, la fanno da padrone.
Tendenze autoritarie hanno determinato una recessione che ha colpito il 78% dei paesi del mondo generando il declino dei diritti fondamentali.
Giustizia debole
E uno dei fattori che più hanno inciso è il malfunzionamento (altrove come nei paesi africani con il punteggio più basso) dei sistemi giudiziari, che risultano deboli, non accessibili economicamente ai cittadini e non rivolti nei fatti alla tutela dei loro interessi e bisogni.
Eccessivo poi il ruolo dei poteri esecutivi – anche se si nota un miglioramento dopo l’emergenza Covid – ma in senso generale si registrano aumenti di violazioni di molti dei diritti elencati nella Dichiarazione universale dei diritti umani che, il 10 dicembre prossimo, compirà 75 anni.
Così come, dal 2016, è diminuita la partecipazione civica in più paesi rispetto a qualsiasi altro sottofattore dell’Indice (83%), la libertà di riunione e associazione (81%), quella di opinione ed espressione (78%) e di religione (76%).
Colpisce – anche nel continente africano – il declino della giustizia civile, quella che riguarda i rapporti giuridici e le vertenze tra i cittadini.
Nella Rd Congo, per esempio, dove si registra un basso indice di sicurezza, c’è anche la tendenza molto marcata a risolvere le questioni private non in un’aula di tribunale ma attraverso la violenza.
Ma meno efficiente risulta anche la giustizia penale. Un declino generale del 56%. Vale a dire che spesso i reati non vengono né perseguiti né puniti.
Lasciando quindi irrisolto il diritto alla giustizia. Cosa che non fa che aumentare il senso di frustrazione in chi ha subito un torto e di sfiducia e abbandono da parte dello Stato.
I migliori e i peggiori
Per restare nello specifico all’Africa subsahariana il paese con i risultati migliori risulta il Rwanda (al 41° posto su 142 a livello globale), seguito dalla Namibia e da Maurizio.
Ma nell’ultimo anno, 20 paesi su 34 hanno registrato un calo nell’intera regione subsahariana. Di quei 20 paesi, 10 erano già diminuiti anche l’anno precedente.
In controtendenza lo Zimbabwe che, come detto, risulta uno dei pochi paesi che ha registrato miglioramenti. Anche – afferma il WJP – nel campo della giustizia e nell’esercizio del potere da parte del governo.
Per quanto riguarda il Kenya migliorati soprattutto il settore della giustizia – civile e penale – e la governance che include la democratizzazione delle istituzioni.
All’inverso, i conflitti in Etiopia e Sudan, hanno determinato un peggioramento delle condizioni civili e sociali delle popolazioni. E la cosa potrebbe peggiorare con il protrarsi delle crisi.
Il fattore insicurezza generato da conflitti interni non fa che incidere – ovviamente – sullo stato di povertà dei cittadini. Meno sicurezza vuol dire anche tralasciare programmi di sviluppo, di lotta alla povertà – appunto -, di progettazioni rivolte ai giovani e al lavoro, per esempio.
Insomma, il mancato rispetto dei diritti fondamentali, una giustizia fallace, la violenza e l’autoritarismo da parte di governi che più che amministratori agiscono da padroni, sono ingredienti tossici che incidono sulla salute dello stato di diritto in generale e che alla fine fanno vittime tra i cittadini che invece si dovrebbero non solo governare ma tutelare da ogni eccesso di potere.