Kais Saied, lo Zelig autoritario della politica tunisina, ha un talento innato per l’autopromozione. Vive senza imbarazzi il suo navigare nelle contraddizioni. L’importante è rimanere abbarbicato al potere.
Il 65enne presidente della Tunisia, eletto con un trionfale 75% nel 2019, riesce in un’impresa titanica: azzera il principale partito islamico tunisino, Ennahdha (legato ai Fratelli musulmani), arrestandone i suoi vertici. E, allo stesso tempo, inneggia ad Hamas (sempre costola dei Fratelli musulmani) nella sua guerra antisemita.
Non solo: nella sua ascesa politica, il presidente era convinto – e lo affermava a pieni polmoni – che la religione era altra cosa e distaccata dallo stato. Oggi, invece, utilizza l’islam come baluardo contro il sionismo.
Terza curiosità: con lui la “Primavera araba” è diventata pura preistoria. Dodici anni fa si propose al mondo come motore primo della rivoluzione dei gelsomini.
Contraddizioni che si riverberano anche nella stretta attualità.
Punire le relazioni con Israele. Anzi no
Giovedì 2 novembre, il parlamento tunisino ha iniziato a discutere un disegno di legge che criminalizza qualsiasi normalizzazione dei legami con Israele.
Per “normalizzazione” s’intende qualsiasi forma di comunicazione, cooperazione o relazione commerciale «deliberata, direttamente o indirettamente», con chiunque nasca o si identifichi moralmente come israeliano, ad eccezione dei palestinesi in possesso della cittadinanza israeliana.
Chiunque venga riconosciuto colpevole di questo “crimine” (classificato come «alto tradimento») rischia una pena da 6 a 10 anni di carcere e una multa da 10mila a 100mila dinari tunisini (da 3mila a 30mila euro). I recidivi verrebbero incarcerati a vita.
La posizione del presidente e del parlamento è che la «Palestina debba essere liberata dal fiume al mare (cancellando dalla carta geografica Israele, ndr) e che debba essere istituito uno stato palestinese con Gerusalemme Santa come capitale», come ha dichiarato il portavoce del parlamento Brahim Bouderbala.
Da sempre la posizione del presidente (e nell’ultimo decennio anche del Parlamento) è che la «Palestina debba essere liberata dal fiume al mare (cancellando dalla carta geografica Israele, ndr) e che debba essere istituito uno stato palestinese con Gerusalemme Santa come capitale», come ha dichiarato il presidente del parlamento Brahim Bouderbala. Una posizione particolarmente significativa in un momento in cui il paese sta vivendo un’ondata di solidarietà con la Palestina.
Ma il giorno successivo all’inizio della discussione, Saied ha tirato il freno a mano. In un discorso televisivo ha dichiarato di essere contrario all’approvazione della legge.
A suo avviso, la parola “normalizzazione” non esiste perché «riflette un’ideologia disfattista che non ha nulla a che fare con la realtà dei combattenti o con la resistenza sul campo di battaglia dei palestinesi».
Dopo l’approvazione di due articoli della legge, la sessione del parlamento è così stata sospesa e non più ripresa. Il presidente dell’aula, Bouderbala, dopo aver precedentemente parlato di «completa armonia» tra Saied, il parlamento e «le aspirazioni del popolo» ha corretto il tiro: il presidente l’aveva contattato avvertendolo che la legge in discussione avrebbe potuto danneggiare gli interessi e la sicurezza della Tunisia.
Esternazioni antisemite
Saied, pronto a esplicite effusioni con la piazza, ha comunque ripetuto come un disco rotto in questi anni la sua ostilità al “sionismo” con derive antisemitiche.
Il 9 maggio, ad esempio, ha negato che fosse antisemita l’attacco davanti alla sinagoga di Ghriba, sull’isola di Djerba, in cui erano stati uccisi due pellegrini ebrei e tre membri delle forze di sicurezza tunisine.
Hanno fatto discutere anche le sue esternazioni del 18 settembre, quando si è detto convinto che ci sarebbe una presunta cospirazione sionista dietro l’uragano Daniel, abbattutosi sulla Libia e su altre aree del Mediterraneo. «Per quanto riguarda l’uragano Daniel, non si sono nemmeno presi la briga di mettere in discussione l’origine di questo nome. Chi è Daniel? È un profeta ebreo», ha detto nel corso di un incontro con il primo ministro Ahmed Hachani. L’accusa al “movimento sionista” è di essersi «infiltrato nelle menti e nel pensiero».
Pure nel 2021 si lanciò in polemiche antisemite. In occasione delle proteste scoppiate a Mnihla (sobborgo di Tunisi), a causa della situazione economica nel paese, uscì un video nel quale il presidente pareva accusare gli ebrei di essere i responsabili dell’instabilità nel paese. Lui, tuttavia, respinse le accuse, definite «una calunnia».
Saied l’anti islamico
In Tunisia, comunque, è di vecchia data il progetto di punire per legge le relazioni con Israele. Risale al 2012. E non fu Saied a proporlo. L’iniziativa partì dagli islamisti di Ennahdha, un partito-movimento che nelle elezioni dell’assemblea costituente del 2011 (le prime elezioni libere nella storia del paese) ottenne il 37% dei consensi. All’epoca Saied, giurista e professore di diritto costituzionale, non esitò a criticare l’articolo 1 della Costituzione del 2014, che definiva la Tunisia un paese la cui religione è l’islam. Ritenendo assurda l’idea che lo stato abbia una “religione”, disse: «Questo significa che alcuni paesi andranno all’inferno e altri in paradiso?» Affermazione che dimostra come in quegli anni il presidente tunisino, la cui moglie era una magistrata che non portava il velo, non fosse proprio un militante dell’islam politico.
La repressione di Ennahda
Una volta conquistato il potere, Saied mise a pieno regime la macchina del fango della propaganda. Puntò il dito contro i partiti, accusati di corruzione. Ancora oggi sogna una democrazia senza partiti.
Mise nel mirino soprattutto Ennahda, che nel 2021 rappresentava la principale formazione politica tunisina. Il suo storico leader, Rachid Ghannouchi, era lo speaker del parlamento prima che venisse improvvisamente sciolto dal rais tunisino.
Saied non si è accontentato, negli ultimi due anni, di cancellare governi, parlamento e corte costituzionale. Ha dato il via libera a ondate di arresti arbitrari. La magistratura, sottomessa al potere presidenziale, ha arrestato i vertici di Ennahda, azzerando il partito.
Lo stesso Ghannouchi, il 17 aprile del 2023, venne prelevato con la forza dalla polizia mentre era in casa, e portato in carcere. Il giorno prima, il leader di Ennahda aveva pronunciato un discorso pubblico in cui denunciò come la Tunisia senza il suo partito, senza l’islam politico, senza la sinistra e senza qualsiasi altro esponente politico era diretta verso la guerra civile.
I giudici, in quell’occasione, lo accusarono di aver definito tiranni gli agenti di polizia. Fu condannato a un anno di reclusione. Non servì a nulla il suo sciopero della fame per denunciare la privazione di ogni diritto di difesa. Il 2 novembre la Corte d’appello della capitale ha emesso la sentenza che ha portato a 15 mesi la pena di Ghannouchi. L’accusa, stavolta, è di aver sostenuto il terrorismo e incitato all’odio.
I “Fratelli” (musulmani ) Ennhada e Hamas
L’aspetto paradossale dei voltafaccia di Saied è che il tanto, da lui, osannato Hamas, formazione politica e terroristica palestinese, è parente stretto di Ennahda.
Come ricorda Olivier Vallée, economista e studioso di politica africana, «i principali leader di Ennahda (tra cui lo stesso Ghannouchi, ndr) sono entrati in contatto, dalla metà degli anni ’80 all’inizio degli anni ’90, con i Fratelli musulmani palestinesi, che nel 1987 formarono Hamas (Movimento islamico di resistenza)». Nel 2011 fu proprio Ennahda a chiedere che il rifiuto della normalizzazione con Israele fosse chiaramente menzionato nella stesura di un “Patto repubblicano” comune a tutti i partiti. Patto che avrebbe dovuto formare un consenso in assenza di una Costituzione.
«All’inizio di gennaio 2012 – ricorda ancora Vallée – il governo di Hamadi Jebeli, membro del movimento Ennahda, ricevette a Tunisi il primo ministro palestinese Ismaël Haniyeh, uno dei principali leader di Hamas». Lo stesso Mounir Chafiq, ex leader di Fatah convertitosi all’islam politico sulle orme della rivoluzione iraniana, è stato invitato a Tunisi in diverse occasioni da Ennahda, sul quale ha potuto esercitare una certa influenza intellettuale.
«La questione palestinese all’interno del mondo arabo – conclude Vallée – e le varianti dell’islam politico hanno interferito nell’approccio dello stato tunisino con Israele».
E mentre oggi Ennahda rischia di fare la stessa fine dei Fratelli musulmani in Egitto, azzerati dopo la presa del potere del generale Abdel Fattah al-Sisi, Saied-Zelig guida le piazze tunisine con in mano il vessillo di Hamas e dell’islam politico.