Una banca africana dell’energia per poter sovvenzionare in autonomia i progetti per lo sfruttamento dei combustibili fossili mentre sempre più finanziatori del nord globale si sfilano nel contesto della crisi climatica e della transizione energetica. È l’obiettivo centrale di un progetto annunciato nei giorni scorsi dalla Banca africana di esportazione-importazione (Afreximbank) e dall’Organizzazione africana dei produttori di petrolio (APPO), che racchiude 18 paesi del continente.
L’iniziativa è stata ufficializzata e presentata a inizio novembre, in occasione della 44esima sessione ordinaria del Consiglio dei ministri dell’APPO, che si è svolta a Cotonou, in Benin.
Nel corso degli incontri sono stati anche delineati i tempi di realizzazione del progetto: come riporta Jeune Afrique, la previsione è che lo studio di fattibilità, lo studio di mercato, il piano aziendale e il calendario per l’avvio delle operazioni della banca siano sottoposti ai paesi membri entro il 30 novembre e poi di nuovo entro il 31 marzo del prossimo anno. L’entrata in vigore dell’istituto dovrebbe avvenire entro il 30 giugno 2024.
Per i vertici dell’APPO lo scopo principale della banca sarà quello di non dipendere più da finanziatori internazionali che potrebbero non condividere l’idea di continuare a investire sui combustibili fossili.
Abdoulaye Bio Tchané, ministro beninese per lo sviluppo, ha affermato durante i lavori della conferenza dell’APPO che «l’unica motivazione» dietro l’iniziativa è «la ricerca della sicurezza energetica. Il dirigente di Porto Novo ha sottolineato la necessità di una banca per l’energia evidenziando che «34 dei 46 paesi con i tassi di accesso all’energia più bassi a livello globale sono africani».
Il segretario generale dell’APPO, Omar Farouk Ibrahim, ha espresso l’augurio che anche paesi produttori non africani investano nel progetto, perché «il suo successo sarà una vittoria per l’industria». Al momento, otto paesi sono in trattativa per poter ospitare la futura sede della banca: Costa d’Avorio, Algeria, Benin, Ghana, Nigeria, Egitto e Sudafrica.
La transizione energetica
Con gli Accordi di Parigi del 2015, 195 paesi del mondo si sono impegnati a mantenere l’aumento della temperatura media globale entro i 2 gradi celsius rispetto ai livelli preindustriali. In quest’ottica molti paesi del nord globale hanno iniziato, almeno in teoria, a sfilarsi dai progetti di sviluppo dei combustibili fossili come petrolio e gas naturale, in quanto fonti di energia che più contribuiscono alle emissioni di gas inquinanti e quindi all’aumento della temperatura media globale.
La transizione energetica verso fonti di energia alternative è ragione di scontro con molti paesi in via di sviluppo ed emergenti. Questi ultimi denunciano di non poter ancora abbondonare petrolio, gas e carbone, che abbondano in molte di queste nazioni, in quanto necessari per la loro crescita economica e il loro sviluppo industriale, attualmente in una fase meno avanzata rispetto ai paesi ad alto reddito.
Diverse realtà emergenti e in via di sviluppo mettono in oltre in dubbio la sostenibilità della transizione energetica, vista la sua dipendenza da minerali critici che si trovano per lo più in questi paesi e il cui approvvigionamento causa nuovo inquinamento e sfruttamento.
Investimenti veramente in calo?
Al di là delle parole, la realtà è piuttosto complessa. Stando a un report pubblicato giorni fa dalle Nazioni Unite, i governi dei 20 maggiori produttori di combustibili fossili, fra i quali Stati Uniti e Regno Unito, pianificano di incrementarne la produzione entro il 2030 del 110% in più rispetto a quella compatibile con il contenimento dell’aumento della temperatura globale di 1,5 gradi celsius e del 69% in più rispetto ai due grandi celsius.
Uno studio pubblicato nel 2021 dalle organizzazioni ambientaliste BankTrack, Milieudefensie e Oil Change International in collaborazione con decine di associazioni di attivisti in tutto il mondo, fornisce delle coordinate sulle prospettive della produzione di combustibili fossili in Africa. Il report prende in considerazione una fascia temporale di cinque anni a partire dal 2016, anno di entrata in vigore dell’Accordo di Parigi.
Nel continente sono in costruzione, o sono stati approvati o annunciati, 893 progetti per lo sfruttamento dei combustibili fossili in 38 paesi per 406 compagnie coinvolte, di base per lo più in Europa, Stati Uniti e Cina.
L’Africa e il Medio Oriente sono stati inoltre i destinatari di meno del 2% dei finanziamenti per le energie rinnovabili: secondo Oil Change Internatioanl, dal 2016 al 2019, gli istituti pubblici dei paesi del G20 e le maggiori banche multilaterali di sviluppo hanno erogato per questo tipo di investimenti 13 miliardi di dollari, quasi quattro volte meno di quanto sborsato per progetti legati ai combustibili fossili.