44 milioni di elettori su una popolazione di un centinaio di milioni – la Repubblica democratica del Congo è un paese popolato da giovani – sono chiamati a esprimere chi li governerà nei prossimi 5 anni.
La campagna elettorale è ufficialmente iniziata domenica 19 novembre e le urne si apriranno il 20 dicembre.
Sono in lizza per la presidenza (si vota a turno unico) 24 candidati. Alcune fonti dicono che sono 25 o 26, ma poco importa: coloro che hanno un peso specifico misurabile non sono più di 4/5.
Innanzitutto il presidente uscente Félix Tshisekedi che da almeno tre anni si sta preparando al secondo mandato, sta ungendo tutti gli ingranaggi della sua macchina elettorale e si è premunito di assicurarsi un ambiente istituzionale confortevole, cioè sotto controllo.
Seguono Moise Katumbi, uomo d’affari con il pallino della politica e già governatore del Katanga; Martin Fayulu, che ha un conto in sospeso con Tshisekedi, con la commissione elettorale e con la Corte costituzionale che nel 2018 hanno architettato la sua sconfitta; Denis Mukwege, Nobel per la pace nel 2018, ginecologo e punta di lancia della società civile del nordest, l’area più instabile e problematica del paese.
Il 20 dicembre si rinnova anche il parlamento e i congolesi sono chiamati a scegliere tra 25.832 candidati. Sono invece 44.110 i candidati ai consigli provinciali: l’Rd Congo, 2,3 milioni di km², è suddiviso il 26 province. Infine sono 31.234 i candidati alle municipali.
Si tratta comunque di un esercizio di democrazia che non può essere fine a sé stesso come è sempre accaduto finora (tanto che la partecipazione al voto è ridotta all’osso). E dunque devono trovare riscontro le regole di imparzialità della commissione elettorale, a garanzia dei cittadini e dei candidati.