Per la prima volta dall’inizio del conflitto in Sudan, il 15 aprile, le Forze di supporto rapido (RSF) dichiarano apertamente che il loro obiettivo militare è il controllo dell’intera regione occidentale del Darfur.
Lo ha fatto ieri il vice comandante Abdel Rahim Hamdan Dagalo – fratello del comandante in capo Mohamed Hamdan Dagalo, detto Hemeti – affermando che le RSF intendono conquistare tutte le basi dell’esercito nella regione.
Un piano già in gran parte attuato, visto che le RSF hanno attualmente il controllo di quattro stati su cinque.
L’ultimo passo è la presa di El Fasher, capitale dello stato del Nord Darfur, al momento ancora in mano alle forze armate sudanesi (SAF), ma dove si assiste a grandi mobilitazioni, da un lato delle RSF e delle milizie arabe che le sostengono, e dall’altro degli ex movimenti ribelli darfuriani ora alleati dell’esercito.
Le RSF hanno anche il controllo di gran parte della capitale Khartoum e di importanti fette di territorio a sud, nel Kordofan Occidentale e Blu Nile.
Rischio frammentazione
L’esercito appare chiaramente, ormai da diverse settimane, in crescente difficoltà nel mantenere le proprie posizioni e incapace di operazioni per la riconquista di quelle perdute.
Si sta così confermando uno dei peggiori scenari previsti, quello definito “libico”, ovvero la frammentazione del Paese su base etno-clanica, con due governi entrambi illegittimi.
Una prospettiva che ha spinto il comandante delle SAF alla ricerca del sostegno dell’Autorità intergovernativa per lo sviluppo (IGAD).
Da fine agosto Abdel Fattah al-Burhan si è lanciato in una frenetica attività diplomatica all’estero, concentrata ultimamente in numerosi incontri con i capi di stato dei paesi membri del blocco regionale, dal Sud Sudan al Kenya, dalla Somalia all’Etiopia.
Apertura al dialogo
L’ultimo – e probabilmente il più rilevante – è l’incontro del 26 novembre a Djibuti con Ismail Omar Guelleh, presidente dell’IGAD, terminato il quale il generale ha fatto una breve tappa all’aeroporto di Asmara, dove ha parlato con Isaias Afwerki.
In un successivo comunicato, il Consiglio sovrano – che rappresenta il governo transitorio sudanese – ha fatto sapere che il capo dell’esercito chiede il rapido svolgimento di un vertice IGAD sul Sudan e che concorda sulla necessità di un cessate il fuoco e di un dialogo inclusivo.
Un’apertura attesa da mesi, che potrebbe portare le due parti belligeranti a un tavolo di trattative.
L’IGAD ha già pianificato un vertice di emergenza la prima settimana di dicembre a Djibuti per discutere su come accelerare la piattaforma di mediazione di Jeddah, affinché le parti raggiungano un cessate il fuoco e aprano corridoi sicuri per la consegna di aiuti umanitari sempre più vitali.
Pulizia etnica in Darfur
Ma l’evoluzione della guerra preoccupa anche l’Unione Europea, il cui Alto rappresentante per il Sudan ieri, in una dichiarazione di condanna per le atroci violenze sui civili, ha chiesto a tutti i paesi terzi, in particolare quelli regionali, di astenersi dall’alimentare direttamente o indirettamente il conflitto.
Il probabile riferimento è al Ciad e agli Emirati Arabi Uniti, che sostengono Hemeti, e all’Egitto, vicino all’esercito sudanese.
Condanne per i massacri a sfondo etnico in Darfur – i più recenti a Ardamata, nel Darfur Occidentale – sono state espresse anche da Amnesty International, dall’Alto commissariato ONU per i diritti umani, che li ha descritti come crimini di guerra e contro l’umanità, e da Human Rights Watch che chiede al Consiglio di Sicurezza di agire per proteggere i civili e punire i comandanti delle RSF. (MT)