Quando il clima entra in crisi, per un effetto domino ovvio, entrano in crisi anche ambiente e soprattutto l’umanità intera. Il cambiamento climatico provoca inevitabilmente spostamenti di persone che scelgono altre condizioni per vivere e, con la loro mobilità, richiedono diritti. Questo legame inscindibile tra crisi climatica e migrazioni è il fulcro del report Legambiente-UNHCR: Un’umanità in fuga: gli effetti della crisi climatica sulle migrazioni forzate.
La fuga, stando ai numeri, riguarda oltre 114 milioni di persone che scappano da guerre e violenze e che, per quasi il 60% vive proprio in paesi considerati più vulnerabili all’impatto dei cambiamenti climatici. Esempi sono la Siria, la Repubblica democratica del Congo, la Somalia, l’Afghanistan e il Myanmar.
Uomini, donne, bambine e bambini costretti ad affrontare oltre agli orrori della guerra anche le devastazioni provocate dal clima. Disastri provocati da siccità o inondazioni. Tanto che il report segnala che «nell’ultimo decennio, dal 2013 al 2022, i rischi legati alle condizioni meteorologiche hanno provocato in questi paesi una media di 5,7 milioni di sfollati all’anno, oltre il 25% di tutti gli sfollamenti dovuti a catastrofi legate ad eventi meteorologici».
Se non si correrà ai ripari con politiche differenti, la stima è che entro il 2050 saranno almeno 216 milioni le persone costrette a migrare a causa delle conseguenze del cambiamento climatico.
Il numero più alto riguarderà l’Africa subsahariana: 86 milioni di persone, pari al 4,2% della popolazione; a seguire i 49 milioni dell’Asia orientale e area del Pacifico, e 40 milioni in Asia meridionale.
Ed è proprio nel continente africano, nella parte settentrionale, che è prevista la più alta percentuale di migranti climatici, 19 milioni di persone, pari al 9% della popolazione. La causa principale sarà la riduzione delle risorse idriche.
La relazione che intercorre tra crisi climatica e migrazioni è un tema di cui si parla sempre troppo poco e che Legambiente e UNHCR chiedono venga messa al centro delle agende politiche, sottolineando quanto manchi non solo un riconoscimento, ma un’ottica di accoglienza e inclusività. Un richiamo che si aggiunge alla necessità di decisioni radicali che impattino sull’aumento di temperatura globale: quasi tre gradi entro la fine del secolo.
«Serve agire subito attraverso un’agenda comune internazionale, un serio phase out dei combustibili fossili e dei sussidi al loro utilizzo, in modo da poter raggiungere a livello globale zero emissioni nette entro il 2050 e contenere il surriscaldamento del pianeta entro la soglia critica di 1.5°C». Un appello che cade nei giorni della tanto discussa COP28 di Dubai.