Il governo del Ciad è in cerca di finanziamenti esteri per rimettere ordine nelle proprie forze armate e portare avanti il programma di disarmo, smobilitazione e reintegro dei miliziani ribelli. A inizio dicembre il ministro della Riconciliazione nazionale, Abderaman Koulamallah, ha esposto la questione all’ambasciatore dell’Unione Europea in Ciad Koenraad Cornelis.
Piano di reintegro dei ribelli in stallo
Lanciato ufficialmente a metà ottobre, il programma di disarmo e reintegro dei ribelli non è mai decollato. Il responsabile del piano Daoud Yaya Brahim, ex ministro della Difesa, si è dovuto dimettere dall’incarico e lasciare la guida del ministero, solo pochi giorni dopo l’avvio del programma, perché travolto da uno scandalo sessuale.
Inizialmente la giunta militare ciadiana contava sull’appoggio del Qatar, ma i negoziati tra gli emissari di Mahamat Idriss Déby e l’emirato si sono presto arenati e a poco sono servite le consulenze di alcuni diplomatici svizzeri.
Con il supporto tecnico del Programma delle Nazioni Unite per lo sviluppo (UNDP), N’Djamena ha stimato che per far partire il piano siano necessari 35 milioni di euro. Il problema, però, è trovare qualcuno disponibile a sborsarli.
Da diversi mesi il Consiglio militare di transizione guidato da Mahamat Idriss Déby, figlio dell’ex presidente defunto Idriss Déby, chiede a Bruxelles un sostegno economico per integrare nell’esercito regolare migliaia di ex combattenti ribelli, secondo quanto previsto dagli accordi di pace firmati a Doha nell’agosto del 2022 con oltre 40 gruppi armati.
Intesa a cui hanno aderito anche alcune forze di opposizione ma non il Front pour l’Alternance et la Concorde au Tchad (FACT, coinvolto negli scontri a fuoco che nell’aprile 2021 portarono alla morte di Idriss Déby) e il Conseil de Commandement Militaire pour le Salut de la République (CCMSR).
I dubbi dell’UE
L’UE nelle ultime settimane si è mostrata dubbiosa sull’opportunità di finanziare il piano. Le perplessità sono aumentate a inizio dicembre dopo che Burkina Faso, Mali e Niger sono usciti dal G5 Sahel, seguiti a stretto giro da Ciad e Mauritania.
Prima della deflagrazione della piattaforma militare, creata nel 2014 in chiave anti-jihadista con il forte sostegno politico ed economico proprio dell’UE, Bruxelles era parsa voler dare un nuovo corso ai rapporti con N’Djamena annunciando lo sblocco di 12 milioni di euro per sostenere le sue truppe impegnate nel sud del paese, in particolare nella regione di Chari-Baguirmi.
La somma rientra in un più ampio budget di 5 miliardi di euro stanziato dall’UE nell’ambito dello Strumento europeo per la pace (EPF) per il periodo 2021-2027.
L’intenzione era stata interpretata come un segnale distensivo dopo le frizioni registrate nei mesi precedenti tra la giunta militare ciadiana e il governo tedesco, per via dell’espulsione dell’ambasciatore di Berlino Jan-Christian Gordon Kricke.
D’altronde, la tabella di marcia verso nuove elezioni indicata dal Ciad non convince in molti a Bruxelles. E i circa cinquanta morti causati dalla dura repressione delle forze di sicurezza ciadiane nell’ottobre scorso, in occasione di manifestazioni contro il presidente Mahamat Idriss Déby, testimoniano che il percorso di transizione democratica del paese è rimasto impantanato.
Per evitare di rimanere isolata, la giunta militare ha concesso il rientro in patria, a inizio novembre, a Succès Masra, leader del movimento Les Transformateurs, costretto all’esilio da più di un anno dopo che su di lui era stato emesso da N’Djamena un mandato d’arresto internazionale. Una mossa, questa, che però evidentemente non è stata finora ritenuta sufficiente da Bruxelles.
Il blitz dell’Ungheria
Con il Sahel sgretolato dai golpe militari che negli ultimi anni si sono consumati in Mali, Burkina Faso e Niger, nella regione si sono venuti a creare dei vuoti diplomatici che sono stati prontamente colmati da potenze extra europee.
Il paradosso, nel caso del Ciad, è che ora a venire in soccorso del Consiglio di transizione militare di Mahamat Idriss Déby sia proprio un paese membro dell’UE, ovvero l’Ungheria del premier Viktor Orban.
Budapest punta a schierare 200 suoi soldati in Ciad all’inizio del 2024. L’8 dicembre ha inviato a N’Djamena il suo ministro degli Esteri Peter Szijjarto, il quale ha inaugurato la nuova ambasciata ungherese nel paese.
Con questa mossa dell’Ungheria, formalmente l’UE, si garantisce comunque una presenza militare in Ciad e nel Sahel. Il potenziale cortocircuito è però sotto gli occhi di tutti: a rappresentarla nel centro del Sahel sarà infatti il suo membro più vicino alla Russia di Putin.