Il massacro di 29 manifestanti a Sharpeville, la rivolta di Soweto del 1976, il processo che portò alla trentennale detenzione di Nelson Mandela e poi i primi passi che quest’ultimo intraprese nel 1994 come primo presidente nero del Sudafrica e come figura politica che ha incarnato la fine di mezzo secolo di apartheid. È solo una parte della storia sudafricana, dagli anni bui della segregazione razziale alla rinascita come “nazione arcobaleno”, a essere stata immortalata da Peter Magubane, attivista e fotografo deceduto ieri, a circa due settimane dal compiere il suo 92esimo compleanno.
La notizia del decesso è stata comunicata all’emittente statale SABC dalla figlia Fikile Magubane. Secondo quanto riferito dalla donna, il padre, nato il 18 gennaio 1932 nel sobborgo di Johannesburg noto ora come Pageview e cresciuto nella ex township di Sophiatown, «non stava bene» di salute e «se n’è andato serenamente».
I media del Sudafrica hanno ricordato oggi la parabola artistica di Magubane e il suo percorso politico, due traiettorie di fatto inscindibili. Come da lui stesso riaffermato in un’intervista apparsa sul quotidiano britannico Guardian nel 2015, ripresa oggi da diversi media di Pretoria: «Non volevo lasciare il Paese per trovare un’altra vita – affermò in quell’occasione – Sarei rimasto e avrei combattuto con la mia macchina fotografica come pistola. Non volevo uccidere nessuno, però. Volevo uccidere l’apartheid».
Una lotta, quella contro il regime di sistematica segregazione razziale contro i cittadini neri e non bianchi, che lo avrebbe condotto in carcere in isolamento per oltre 500 giorni fra il 1974 e il 1975 e che gli avrebbe fatto affrontare censure e violenze per lunga parte della sua carriera.
Una carriera cominciata sulla rivista di costume Drum nel 1955, dove iniziò come autista, e culminata con la nomina a fotografo ufficiale di Mandela, già immortalato durante il famoso processo di Rivonia che nel 1965 condannò il leader della lotta anti-apartheid all’ergastolo insieme ad altri sette imputati. Nelle quattro decadi intercorse fra una fase e l’altra, Magubane ha portato e avanti e al contempo fotografato la lunga lotta del Sudafrica contro la repressione razzista.
Le foto
Ecco allora un gruppo di poliziotti bianchi che nell’indifferenza dà le spalle al cadavere di un manifestante ucciso il 21 marzo 1960 a Sharpeville, o i pugni chiusi e le facce determinate degli studenti che animarono la rivolta di Soweto, scoppiata inizialmente per protestare contro l’introduzione dell’afrikaneer come lingua d’insegnamento nelle scuole per i cittadini neri e poi diventata una più ampia mobilitazione di protesta contro la segregazione durante la quale persero la vita centinaia di persone. Ma anche le prime libere elezioni del ’94 e la Commissione per la verità e la riconciliazione tramite cui, fra il ’96 e il ‘98, il paese fece coraggiosamente i conti con parte della pesante eredità dell’apartheid.
Tutte «testimonianze visive iconiche della nostra lotta per la libertà e dell’intera gamma della vita nel nostro Paese», come le ha definite in un messaggio commemorativo il presidente Cyril Ramaphosa, che ha affermato di aver appreso della morte di Magubane «con grande tristezza».
Il fotografo, che durante la sua carriera ha lavorato anche negli Stati Uniti e in Gran Bretagna ed è stato rilanciato da testate come il New York Times, è stato il primo artista nero a vincere il primo premio del concorso nazionale di fotografia giornalistica del Sudafrica, nel 1958. Magubane ha anche ottenuto l’American National Professional Photographers Association Humanistic Award nel 1986, per essere intervenuto in difesa di alcuni dimostranti durante i già citati scontri di Soweto del ’76.
Insignito dell’Order for Meritorious Service da Mandela nel 1996, nell’ultima parte della sua carriere Magubane si è dedicato ad approfondire la complessità delle tradizioni culturali locali del Sudafrica.