I rapporti commerciali fra Zimbabwe e Cina continuano a crescere. E Pechino sembra voler giocare un ruolo di primo piano anche nella corsa al litio, l’”oro bianco” della transizione energetica presente in grandi quantità nel sottosuolo del paese africano. Ma non solo, la Cina sembra voler anche sostenere le aspirazioni di Harare a impiegare questo minerale come volano di sviluppo e come avanguardia di un cambio di paradigma, dall’esportazione alla creazione di valore aggiunto in loco grazie a un’industria di trasformazione.
Utile partire dalle cifre. Stando ai dati resi noti in settimana dall’ambasciata cinese in Zimbabwe e rilanciati dai media locali, nel 2023 l’interscambio commerciale fra Harare e Pechino è valso 3,12 miliardi di dollari, con un aumento del 30% rispetto all’anno precedente. La bilancia commerciale è a favore del paese africano di circa 300 milioni di dollari: 1,7 miliardi di esportazioni, per lo più minerali e tabacco, e 1,4 miliardi di importazioni.
La Cina è quindi uno dei principali partner commerciali di Harare – il primo è il Sudafrica – ma anche il maggiore investitore in Zimbabwe. Stando ai dati pubblicati dall’agenzia per gli investimenti e lo sviluppo (ZIDA) del paese, nel 2023 oltre 120 investitori cinesi hanno ottenuto licenze da un valore complessivo di 2,8 miliardi di dollari. Una cifra superiore di sei volte al valore delle licenze ottenute dal secondo paese, gli Emirati Arabi Uniti, e di dieci volte rispetto ai 247 milioni di dollari aggiudicati dalla Cina nel 2022.
Il sostegno cinese allo Zimbabwe è diventato centrale anche nel contesto delle sanzioni che Stati Uniti, Gran Bretagna e Unione Europea impongono al paese dal 2003. Un quadro che è peggiorato dopo le elezioni dello scorso agosto, che hanno visto la riconferma del presidente Emmerson Mnangagwa e con lui del partito di governo, lo Unione Nazionale Africana di Zimbabwe – Fronte Patriottico (ZANU-PF) che comanda ad Harare dal 1980. Pechino, fortemente presente in Africa da decenni, è quindi diventato un alleato ancora più decisivo alla luce della sua politica di sostanziale non interferenza negli affari interni dei paesi partner e dell’assenza di condizionalità che caratterizza il suo sostegno economico.
Il ruolo del litio
Ora queste storiche relazioni si preparano ad affrontare una nuova fase, nonostante la Cina stia rallentando la velocità della sua proiezione nel continente africano a causa di problemi economici di natura interna. La chiave di tutto sta nello sfruttamento del litio, minerale chiave della transizione energetica per via del suo impiego per le componenti delle batterie elettriche.
Il sottosuolo dello Zimbabwe è ricco di questo minerale, il cui prezzo sul mercato è aumentato del 1100% negli ultimi due anni. Al momento nel paese c’è solo una miniera che lo produce, a Bikita, nell’est, e altre tre che lo estraggono a livello artigianale. La Cina ha già investito fra 1 e 1,4 miliardi di dollari in almeno cinque diversi progetti di estrazione. Uno sforzo che potrebbe portare lo Zimbabwe a diventare il quinto maggior produttore del minerale entro il 2025 secondo il portale di business intelligence CRU.
Harare punta a fare del litio un volano di sviluppo, ma non come commodity dalla quale ottenere valuta estera come bene da esportazione. L’idea è quella di costruirci attorno un’industria di trasformazione che possa processarlo nel paese, aggiungendo valore aggiunto lungo la filiera e creando posti di lavoro. In quest’ottica, il governo ha imposto a dicembre 2022 un divieto all’esportazione della forma grezza del materiale. Il provvedimento prevede alcune eccezioni e per ora, stando a quanto riportato dai media locali, è stato largamente aggirato in modo illegale, anche a causa delle scarse capacità delle autorità del paese di metterlo in pratica.
Una nuova fase
In qualsiasi caso, la Cina vuole dire la sua anche in questa nuova fase, lanciata, o quanto meno annunciata, dalle autorità di Harare. Ad agosto, il presidente Mnangagwa ha inaugurato nella miniera di Sabi Star un impianto per la lavorazione del litio da 45 milioni di dollari costruito dall’azienda statale cinese PowerChina. L’orizzonte, come suggerito da diversi esperti e attivisti, dovrebbe essere quello di arrivare ad assemblare nel paese anche le batterie elettriche, di cui la Cina è di gran lunga il maggior produttore al mondo. Progetti in questo senso già esistono, e c’è sempre la mano della Cina. Nell’agosto 2022, riporta sempre l’agenzia ZIDA, l’esecutivo di Harare ha approvato un piano da 2,8 miliardi di dollari presentato da un investitore cinese e uno di Hong Kong per realizzare un impianto di raffinazione fino al livello di batteria di litio e altri minerali.
Restano le perplessità sulle capacità di Harare di convertire in sviluppo tutto questo potenziale. Il paese a guida ZANU ha già fallito con altri minerali – su tutti l’oro – diventati propellenti di maxi sistemi di corruzione e riciclaggio di denaro più che linfa per sviluppo e miglioramento delle condizioni della popolazione. Anche il litio, come dimostra il caso della miniera di Sandawana, al centro di un’indagine dell’ong Global Witness, potrebbe non sfuggire a queste logiche.
Siccità e inflazione
Le condizioni economiche del paese sono complesse: lo Zimbabwe fa registrare da anni il più alto tasso di inflazione al mondo – nel 2023 ha superato anche il 175% – mentre a vivere sotto lo soglia di povertà è quasi il 40% della popolazione secondo le Nazioni Unite. Lo Zimbabwe sta facendo i conti anche con la siccità, provocata dagli effetti della crisi climatica e soprattutto dalle conseguenze del fenomeno climatico noto come El Niño. Oltre 2,5 milioni, su una popolazione totale di neanche 16 milioni, le persone che necessitano aiuti umanitari in questo contesto secondo il governo e il Programma alimentare mondiale (PAM).