Il presidente egiziano Abdel-Fattah al-Sisi e il suo omologo russo Vladimir Putin hanno gettato le basi per un nuovo progetto che rafforzerà i legami tra i due paesi.
Il 23 gennaio, infatti, al-Sisi e, virtualmente, Putin hanno partecipato alla cerimonia di posa delle fondamenta di una nuova unità della centrale nucleare di El-Dabaa, che si trova nella provincia mediterranea di Matrouh, a circa 300 km a nordovest della capitale Il Cairo.
«Oggi stiamo scrivendo un nuovo brillante capitolo della nostra storia, realizzando l’aspirazione di tutti gli egiziani di possedere un impianto nucleare pacifico, che contribuirà a forniture energetiche sicure, economiche e a lungo termine, riducendo la dipendenza dai combustibili fossili ed evitando fluttuazioni dei loro prezzi», ha affermato il presidente egiziano.
Due amici
Ma il dato politico è che questo progetto scrive un nuovo capitolo nella stretta cooperazione tra Egitto e Russia. Da parte sua, infatti, il presidente russo ha sottolineato come l’Egitto sia «un amico e un partner strategico della Russia», aggiungendo che le relazioni tra i due paesi si basano sull’uguaglianza e sul rispetto reciproco.
Nel luglio 2022, l’Egitto ha iniziato a costruire la centrale nucleare di El-Dabaa, la prima del paese.
Il programma si basa su un accordo tra Il Cairo e Mosca entrato in vigore nel dicembre 2017. Il progetto prevede la costruzione di quattro reattori, ciascuno con una capacità di 1.200 megawatt, per un costo totale di 28,75 miliardi di dollari.
Mosca finanzia oltre l’80%
La Russia finanzia circa 25 miliardi di dollari, ovvero l’85% del budget, attraverso un prestito di rimborso della durata di 22 anni. L’Egitto si fa carico del restante 15% sotto forma di rate. Atomstroyexport è l’appaltatore generale russo del progetto, mentre l’Autorità egiziana per le centrali nucleari ne supervisiona la costruzione.
Ma è dal 1983 che è stato individuato il sito di El Dabaa, sulla costa mediterranea – 170 km a ovest di Alessandria e Zafraana sul Golfo di Suez –per ospitare un impianto nucleare. All’epoca le tedesche KWU, Framatome e Westinghouse avevano presentato una gara per fornire reattori, mentre l’Australia e il Niger avevano accettato di fornire uranio. Il piano fu interrotto in seguito all’incidente di Chernobyl del 1986.
La Russia si è poi fatta carico di portare a termine il progetto. Putin, nell’occasione, ha anche sottolineato il lavoro del suo paese e dell’Egitto per la creazione di una zona industriale russa nell’area del Canale di Suez.
Vola il prezzo dell’uranio
La scelta dell’Egitto di puntare sull’energia nucleare si inserisce oggi in una dinamica economica che vede volare il prezzo dell’uranio. Prezzo che ha raggiunto il livello più alto degli ultimi 17 anni, toccando gli 85,75 dollari per libbra (circa 450 grammi). Questa escalation è il risultato di un rimbalzo della domanda, unito alle incertezze legate all’offerta di petrolio e gas.
Le tensioni geopolitiche e la transizione energetica spiegano, infatti, questo aumento. L’energia nucleare sta tornando in auge. È finito il periodo successivo all’incidente di Fukushima, nel 2011, quando molti paesi decisero di uscire da questo business.
Ora è esattamente il contrario. La transizione energetica incoraggia la promozione di energie a basse emissioni di carbonio e l’energia nucleare è una di queste. Risultato: nel Regno Unito, come in Francia, India, Turchia, Egitto e Cina, sono attualmente in costruzione o previsti più di 100 nuovi reattori in tutto il mondo. In Svezia è stata appena abrogata la legge che vietava qualsiasi nuova centrale elettrica. Altri paesi stanno mantenendo i reattori che avevano pianificato di chiudere. Questo è il caso del Diablo Canyon, in California. In Belgio, due reattori sono stati prorogati per dieci anni, per paura di un’interruzione delle forniture, dopo che le forniture di gas russo erano state limitate.
Le tensioni gravano su diversi stati produttori
Il Niger e la Russia rappresentano il 10% della produzione mondiale di uranio. E i colpi di stato a Niamey e le sanzioni sul capo di Mosca non stanno frenando la produzione.
Ma queste tensioni creano incertezza, e quindi il rischio, fattori che fanno salire i prezzi sui mercati. A ciò si aggiungono le difficoltà nell’estrazione del minerale in Canada e Kazakistan, altri due grandi paesi produttori. Ecco perché l’offerta fatica a tenere il passo con la domanda.
Solo quest’anno il prezzo dell’uranio, negli acquisti a breve termine, è più che raddoppiato.
Tuttavia non vi è alcun rischio di carenza, perché l’uranio è molto più facilmente immagazzinabile del petrolio. La Francia, ad esempio, dispone di riserve di uranio per alimentare le centrali elettriche per più di due anni. Per fare un confronto, le scorte petrolifere strategiche rappresentano solo 60 giorni di consumo.