Gli eserciti, per forza di cose, sono un corpo composto da diverse anime. Ma in Sudan la frattura tra fazioni sta diventando sempre più evidente.
I malumori di parte delle forze armate (SAF) – in guerra da quasi dieci mesi contro gli ex alleati paramilitari Forze di supporto rapido (RSF) – nei confronti dei vertici militari serpeggiano da tempo, ma negli ultimi giorni sono emersi con forza e pubblicamente.
Tutto è partito da notizie, non confermate ma diventate virali sui social media, di un piano di golpe sventato interno all’esercito. E dell’arresto nei mesi scorsi, da parte dell’intelligence militare – questo sì confermato – di quattro ufficiali responsabili delle operazioni sul campo a Wadi Saidna, importante base militare che coordina l’offensiva in corso nella regione di Omdurman (Operations Department).
Tra questi figurano il colonnello responsabile delle forze di riserva a Jebel Surkab, un tenente colonnello coinvolto nella guerra con i droni e un maggiore responsabile del personale nelle operazioni di supporto alle truppe del Corpo corazzato, assediato da mesi a Khartoum.
La Arab World News Agency cita una fonte militare anonima la quale nega che gli ufficiali stessero pianificando un colpo di stato. Ma conferma che gli arrestati “parlavano male degli alti dirigenti in pubblico, davanti agli ufficiali e ai soldati, e talvolta agivano di propria iniziativa negli scontri con le Forze di supporto rapido”.
Le versioni, insomma, sono due (ma una non esclude l’altra): un tentativo di golpe interno alle SAF, oppure un più semplice caso di insubordinazione.
Quest’ultima è stata confermata due giorni fa dal generale Yasir al-Atta, vicecomandante in capo dell’esercito che, ribadita la compattezza delle forze armate, ha accusato gli ufficiali di “non aver seguito ordini e istruzioni”.
Il clima resta comunque di alta tensione nella base strategica di Wadi Saidna, dove ieri è arrivato per un’ispezione anche il generale Abdel Fattah al-Burhan, comandante in capo delle SAF e presidente del Consiglio Sovrano di transizione.
Una visita che annuncia nuove azioni militari nello stato di Khartoum, dopo che l’esercito ha ripreso il controllo di Omdurman, dove elementi delle RSF restano trincerati nell’edificio, assediato, della radio e televisione nazionale.
Formalmente gli islamisti che hanno fatto parte del trentennale regime del presidente Omar El-Bashir, deposto nel 2019, sostengono i vertici dell’esercito, ma di recente, in seguito alle sconfitte in Darfur e nello stato di Al Jazira, il movimento legato ai Fratelli Musulmani aveva rilasciato una dichiarazione implicitamente critica nei confronti della leadership delle forze armate.
La stessa linea abbracciata dagli ufficiali arrestati, che accusavano la dirigenza di essere troppo lenta nel portare truppe fresche al fronte, sostenendo la necessità di una strategia militare più aggressiva.
Il Sudan War Monitor ha raccolto la voce di una fonte che conosceva personalmente uno di loro – il tenente colonnello coinvolto nelle operazioni con i droni – che ha definito come “un islamista estremista”.
Sul fronte opposto si registra la nascita di un movimento chiamato “Gruppo di cambiamento e riforma militare” che in un comunicato del 6 febbraio firmato da ufficiali dell’esercito, afferma di voler apportare un cambiamento all’interno delle forze armate per “porre fine alle sofferenze del popolo sudanese”.
E fa sapere che anche altri ufficiali sono finiti in manette a Port Sudan, dove è stato trasferito il comando generale.
Il gruppo denuncia il dominio dei Fratelli Musulmani sulle forze armate con lo scopo di difendere gli interessi personali degli islamisti che vogliono riconquistare il potere. (MT)