Dei circa 12 miliardi di dollari generati ogni anno dal traffico illecito di rifiuti in tutto il mondo (dati 2021 del Financial Action Task Force) una buona fetta riguarda il Ghana. “Specializzato” tra l’altro ad accogliere e gestire e-waste, vale a dire rifiuti elettronici – parliamo di computer, stampanti, elettrodomestici … -.
È stato calcolato che almeno 150mila tonnellate di tale tipo di rifiuti vengano spediti ogni anno nel paese, diretti soprattutto ad Agblogbloshie, discarica e slam a cielo aperto a pochi chilometri dal centro della capitale, Accra, e dai palazzi istituzionali.
Una città nella città dove non si sa bene quante persone vivano e dove centinaia di persone sono impegnate ogni giorno nell’opera di scrapping: apertura, divisone della parti, selezione, rottamazione dell’oggetto. Tutto, rigorosamente a mani nude.
Perché comunque tutto può ritornare utile, essere rimesso in circolazione, riciclato, venduto. E a comprare non sono solo privati o piccoli negozietti, ma addirittura industrie locali.
Un’attività – quella della rottamazione – che certo non arricchisce chi la svolge, ma che permette a molti di sopravvivere. Perché in certe aree del mondo anche i rifiuti possono generare lavoro e reddito.
È il paradosso del legame a volte malsano che unisce il mondo ricco e produttivo a quello che sta dalla parte opposta della cartina geografica. Sintetizza molto bene questo aspetto il titolo di Enact Africa che poco tempo fa ha riportato a galla la questione: ciò che per un essere umano è veleno, in Ghana è la fortuna di un altro.
E quello che non viene rottamato si cerca di risistemarlo, renderlo appetibile ad un mercato con meno disponibilità economica ma che non può fare a meno – come nessuno ormai al mondo – di certi strumenti e beni.
Spedire materiale inutilizzabile dall’Occidente in Africa conviene, dunque, alle aziende che evitano così i costi di rottamazione di rifiuti che rispondono a normative specifiche, avvantaggiandosi nello stesso tempo dell’eventuale vendita del materiale stipato nei container. Ma conviene anche a chi questo materiale lo acquista, lo smercia, lo ricicla.
Le scappatoie per arginare la legge e i controlli si trovano sempre. Va ricordato, tra l’altro, che il Ghana è tra i firmatari della Convenzione di Basilea sul controllo dei movimenti transfrontalieri di rifiuti pericolosi e del loro smaltimento – che però non include i rifiuti domestici, come televisori e frigoriferi, e soprattutto semplicemente “incoraggia le parti a stipulare accordi bilaterali, multilaterali e regionali sui rifiuti pericolosi” – ma non ha firmato la Convenzione di Bamako (1998) che invece chiaramente vieta tutte le importazioni di rifiuti pericolosi in Africa.
Insomma, da un lato le scappatoie burocratiche, dall’altro la spregiudicatezza, in mezzo l’ambiente e gli scrappers. Entrambi devastati dalle sostanze generate da tutto quello che viene bruciato alla fine del lavoro di selezione, ad esempio la plastica che circonda il rame dei cavi elettrici.
Sostanze tossiche, che non solo distruggono l’ambiente ma i polmoni di chi le respira. Migliaia di persone ogni giorno. Mentre molti altri si arricchiscono.
Come scrivono su ISS (Institute for Security Studies) i ricercatori ed esperti Abdelkader Abderrahmane e Solomon Okai: “i reati legati ai rifiuti pericolosi coinvolgono funzionari governativi, gruppi criminali, mafiosi e aziende. Apparentemente nessun’altra forma di criminalità organizzata offre così tante opportunità di riciclaggio di denaro e frode fiscale come i rifiuti pericolosi”.
Questo perché: “le industrie possono realizzare enormi profitti smaltendo illegalmente i rifiuti. I criminali e le aziende possono facilmente aggirare i trattati internazionali sui rifiuti falsificando o etichettando erroneamente i documenti sui rifiuti autentici come beni di riciclaggio o di seconda mano”.
Esportare illegalmente rifiuti pericolosi spacciandoli come beni ancora utilizzabili perché di seconda mano, continua ad essere attività molto diffusa. E del resto non esiste alcuna legge che vieti ai cittadini che vivono all’estero di introdurre o inviare container di apparecchi usati per “uso personale”.
Il porto di Tema è il luogo dove arriva di tutto e dove tutti conoscono il loro spazio di manovra, il loro ruolo, le persone con cui contrattare. Un commercio su cui ognuno ha la sua parte di lucro: dal più importante anello della catena a quelli più deboli.
Ecco perché è assai difficile che il governo ghanese – nonostante di tanto in tanto faccia azioni di forza, come tentare di smantellare Agblogbloshie, cosa mai riuscita – decida di operare con decisione sulla questione.
I rifiuti, pericolosi e non, in questo paese fungono da ammortizzatore sociale. Sarebbe un grosso problema togliere questo tipo di reddito ai più disperati. Nel 2016 il governo ha approvato la legge sul controllo e la gestione dei rifiuti elettronici e pericolosi ma non si può dire che le cose da allora siano cambiate granché.
Intanto i container pieni di “non si sa cosa” continuano ad arrivare. Anche dall’Italia, che è uno dei paesi che “esporta” di più questo genere di rifiuti. Qualche giorno fa la Guardia di Finanza ha fermato all’Interporto Bentivoglio (Bologna) un container diretto, appunto, in Ghana.
La merce trasportata – hanno poi dichiarato gli agenti doganali – era del tutto inutilizzabile e deteriorata e catalogabile come rifiuto pericoloso e altamente inquinante.
In tutto 20 tonnellate tra pneumatici usurati, televisioni, frigoriferi, congelatori, altre apparecchiature elettriche e ferri da stiro. Denunciati i titolari di tre imprese con le accuse di falso ideologico e traffico illecito di rifiuti.