Dopo l’intervento critico dell’arcivescovo di Kinshasa cardinal Fridolin Ambongo Besungu in merito al protocollo di accordo minerario tra Unione europea (UE) e Rwanda, firmato il 19 Febbraio, varie associazioni, tra cui “Insieme Pace per il Congo” “Rete Pace per il Congo” (promossa da missionari che operano nel paese) hanno chiesto l’annullamento di tale documento.
Nel testo, rilanciato da Agenzia Fides, le realtà della società civile si sono chieste: «Come fa l’Unione Europea a firmare un accordo sulla sostenibilità e la tracciabilità di minerali strategici con un Paese che non li produce ma li ottiene illegalmente da uno Stato vicino?». Da questo interrogativo quindi, parte «un forte appello per il rispetto della legalità, secondo le norme di tracciabilità che l’Europa stessa si è data nel 2021».
Secondo l’UE il Rwanda «è un attore maggiore a livello mondiale nel settore dell’estrazione del tantalio e produce anche stagno, tungsteno, oro e niobio oltre a disporre di riserve di litio e di terre rare». In realtà questo non è vero. «L’Unione Europea – afferma il comunicato delle associazioni – investe in Rwanda, un Paese che di fatto non dispone di quantità significative di questi minerali, un Paese che ne è diventato grande esportatore solo grazie alle guerre che ha acceso e fomentato a ripetizione nella Repubblica democratica del Congo a partire dal 1996, sempre attraverso interposti movimenti di copertura, che in questi anni prendono il nome di M23».
Kigali dietro gli avanzamenti dell’M23
«Dall’est del Congo – si legge ancora nell’appello – col favore di responsabili corrotti a vari livelli, escono a fiotti da anni verso il Rwanda e altri paesi confinanti ad est minerali preziosi come oro, coltan e terre rare. Lo sfruttamento e la rapina di risorse da parte di Kigali passano oggi apertamente oltre frontiera grazie ai territori che l’M23, finanziato e sostenuto dal governo ruandese, ha occupato in quest’ultimo anno. Questo, purtroppo, a prezzo di uccisioni di civili, di violenze di ogni genere, di rapine di beni a popolazioni la cui colpa è solo quella di vivere in un territorio ambito».
«Se l’obiettivo dell’accordo del 19 febbraio scorso – come dichiarato dal Parlamento Europeo in risposta alle tante critiche emerse -, è “accrescere la tracciabilità e la trasparenza e rafforzare la lotta contro il traffico illegale di minerali”, era più opportuno che il Rwanda venisse sanzionato a dovere, anziché stipulare con esso accordi proprio sui frutti della rapina in atto» sostiene “Insieme per la Pace nel Congo”, appunto una delle realtà promotrici del messaggio.
E a conclusione del comunicato si legge: “Facendoci eco a tante voci che si sono levate contro l’accordo in questione, sia da parte delle autorità, di cittadini congolesi, di paesi europei come il Belgio e di eurodeputati, anche noi come comitato Insieme per la Pace in Congo esprimiamo la forte richiesta all’Unione Europea di annullare tale accordo, per contribuire all’avvento della pace nella regione. Riteniamo che solo un atteggiamento giusto e imparziale può favorire la coabitazione pacifica nella regione africana del Grandi Laghi”.