Il primo ministro haitiano Ariel Henry si è dimesso lunedì a causa dei crescenti episodi di violenza da parte delle famigerate bande che imperversano nella capitale Port au Prince e in varie aree del paese, e che hanno provocato più volte l’annullamento delle elezioni generali.
«Prendiamo atto delle dimissioni di Henry e che verrà formato un Consiglio presidenziale transitorio con la nomina di un primo ministro ad interim», ha affermato in una nota Mohamed Irfaan Ali, presidente della Guyana e attuale presidente della Comunità caraibica (CARICOM). I capi di Stato dei 25 paesi membri della CARICOM si sono infatti incontrati d’urgenza a Kingston, in Giamaica, per discutere della crisi della sicurezza a Haiti.
Successivamente all’incontro, Henry, 74 anni, che dal 5 marzo si trovava a Porto Rico per motivi di sicurezza, ha informato la CARICOM della sua decisione di dimettersi.
Nel frattempo, i membri delle bande hanno tentato di fare irruzione in due stazioni di polizia e nel ministero dell’Interno, ma sono stati respinti dalla polizia, secondo i media locali. Il leader di una delle maggiori bande, Jimmy Cherizier, noto anche come “Barbecue”, le cui azioni hanno portato alla fuga di migliaia di prigionieri da diverse carceri, aveva avvertito il 6 marzo che, se il primo ministro Henry non si fosse dimesso, Haiti si sarebbe trasformata in un paradiso per i ribelli oppure in un inferno per tutti.
Le bande armate che chiedevano le dimissioni di Henry si erano scontrate il 2 e 3 marzo con le forze di sicurezza, effettuando attacchi contro due carceri nel paese. Durante gli scontri erano fuggiti quasi 4.000 detenuti, mentre una dozzina di persone avevano perso la vita. Il successivo 4 marzo, il governo aveva dichiarato lo stato di emergenza di 72 ore al fine di riprendere i prigionieri fuggiti e aveva annunciato un coprifuoco che sarebbe stato applicato in orari specifici. Il provvedimento è stato prorogato il 7 marzo di un mese, nello sforzo di completare l’arresto dei prigionieri evasi. La banda di Cherizier, tra l’altro, aveva tentato più volte di prendere il controllo dell’aeroporto della capitale per impedire a Henry di tornare nel Paese. Durante gli attacchi delle bande, Henry si trovava a Nairobi per pianificare il dispiegamento di una forza di sicurezza multinazionale guidata dal Kenya ad Haiti.
Le tappe che hanno portato al caos
Henry, che di formazione è un neurochirurgo, era diventato primo ministro e presidente de facto del paese caraibico nel luglio 2021, a seguito dell’omicidio dell’allora capo di stato Jovenel Moïse, ucciso nella sua abitazione da un commando armato composto per lo più da mercenari colombiani. Il movente e i mandanti della morte di Moise non sono chiari. A fine febbraio la giustizia haitiana ha pubblicato un report con la lista dei nomi delle perone accusate di responsabilità nell’omicidio dell’ex capo di stato. Fra queste ci sono la ex first lady Martine Moïse e Claude Joseph, guida del governo all’epoca dei fatti. Fra gli imputati non figura Henry, nonostante il suo nome sia stato citato da più fonti, anche come mandante dell’omicidio.
L’uccisione di Moise ha avuto l’effetto di esacerbare le già precarie condizioni di sicurezza che viveva il paese caraibico e di aprire le porte alla definitiva ascesa delle gang armate, attive da anni e ritenute molto ben collegate con il mondo politico haitiano, che secondo la società civile sarebbe totalmente connivente con i gruppi armati. Stando all‘ultimo report dell’agenzia delle Nazioni Unite per gli affari umanitari (OCHA), nelle sole ultime due settimane almeno 15mila persone hanno dovuto lasciare le loro case per colpa dei combattimenti fra le bande armate. Nel paese gli sfollati interni sono oltre 360mila mentre 5,5 milioni di persone necessitano di aiuti umanitari su una popolazione totale di neanche 11,5 milioni di abitanti. La crisi riguarda praticamente ogni aspetto della vita della popolazione haitiana: secondo quanto riferito da Guyteau Édouard, massimo dirigente della Direzione nazionale dell’acqua potabile e dei servizi igienico-sanitari (DINEPA), il 90% delle fonti di acqua potabile del paese è in mano dei gruppi armati.
Ancora in attesa della missione kenyana
Le dimissioni del premier haitiano intanto, hanno provocato un ulteriore rinvio dell’inizio di una missione internazionale di polizia a guida kenyana, attesa da mesi nel paese. L’iniziativa ha ricevuto il beneplacito del Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite lo scorso ottobre e un suo dispiegamento a Port-au-Prince è caldeggiato con insistenza anche dagli Stati Uniti. L’avvio della missione, però, era già stato messo in sospeso da una sentenza dell’Alto Corte di Nairobi. Adesso il governo del presidente William Ruto ha spiegato di non poter inviare i suoi agenti in un paese in cui manca un governo a cui fare riferimento. Nairobi, ha chiarito al quotidiano The Nation l’alto dirigente del ministero degli esteri Korir Sing’Oei, «attenderà l’insediamento di una nuova autorità istituzionale» a Port-au-Prince «prima di prendere qualsiasi nuova decisione» sul dispiegamento dei poliziotti, che nelle previsioni iniziali sarebbero dovuti essere circa mille.