Le vie della politica sono infinite. Spesso assumono i contorni del paradosso. Talvolta dell’indecenza. Protagonisti di questa ennesima puntata indecorosa sono il ministro dell’interno Matteo Piantedosi e una delegazione governativa che comprendeva il viceministro Edmondo Cirielli e il direttore dell’Agenzia informazioni e sicurezza esterna (AISE), Giovanni Caravelli.
Cosa è successo. Su Facebook dell’ufficio informazioni dell’autoproclamato Esercito nazionale libico (ENL) è stata pubblicata una nota che rivela come il generale Khalifa Haftar abbia ricevuto ieri a Bengasi «una delegazione di alto livello del governo italiano» guidata, appunto, da Piantedosi.
Il curriculum di Haftar
Khalifa Haftar è il signore della guerra della Cirenaica che ha sulle spalle accuse di crimini di guerra e contro l’umanità durante il secondo conflitto civile libico (2019-2020). Ma la lista dei suoi reati è lunga come quella della spesa. Basta leggere il suo “curriculum su Wikipedia”.
Gli omaggi italiani
Non è la prima volta che il governo di destra italiano si presenta alla corte dell’uomo forte della Cirenaica. La stessa presidente del Consiglio Giorgia Meloni, nel giugno del 2023, si è recata a omaggiare il generale. E lo stesso Giuseppe Conte ha ossequiato «l’amico Haftar», una persona di cui «mi fido molto» in occasione del vertice di Palermo nel novembre 2018.
Rapporti così stretti tra Conte e il generale, che un paio di anni dopo, dicembre 2020, l’allora presidente del Consiglio con il ministro degli esteri Luigi di Maio si sono recati a Bengasi a trattare con Haftar la liberazione dei 18 pescatori italiani tenuti in ostaggio per 108 giorni dalle milizie libiche.
L’apprezzamento per i trafficanti
E stavolta perché è così paradossale la visita di Piantedosi & co? All’incontro di Bengasi non era presente solo papà Haftar, ma anche due suoi figli: Khalifa e il fratello Saddam.
Davanti alla famiglia che controlla l’area orientale della Libia, Piantedosi ha espresso l’apprezzamento dell’Italia per il ruolo dell’ENL «nel combattere il terrorismo e l’estremismo, e per i suoi significativi sforzi tesi a ridurre l’immigrazione clandestina».
Infine – conclude la nota – i funzionari italiani «hanno dichiarato il sostegno del governo italiano a tutti gli sforzi volti a rafforzare il processo politico e a tenere elezioni presidenziali e parlamentari in Libia».
Forse il ministro non è stato messo al corrente – o forse si è ispirato alle tre scimmiette che non vedono, non sentono e non parlano del male – che la famiglia Haftar è proprio tra i principali trafficanti di essere umani.
Il ruolo di Saddam
In modo particolare il figlio Saddam. Come ha raccontato Nigrizia nel numero di marzo della rivista, il 33enne figlio minore dell’ottuagenario Khalifa è diventato l’indiscusso signore della guerra della Libia orientale.
Negli anni ha diversificato il suo “business”. Oltre al racket e ai rapimenti basati sui riscatti, controlla il mercato della droga e del traffico di armi, gestisce il mercato illegale di oro e dei rottami metallici prelevati da fabbriche confiscate.
Il business sui migranti
Tuttavia, per lui l’affare più lucroso, oggi, si chiama migranti. Un business possibile grazie alla complicità dell’Europa. Bruxelles, infatti, consente a Saddam e ai suoi scagnozzi di realizzare due affari contemporaneamente: guadagnare dal controllo in partenza di esseri umani e dal riportare in Libia gli stessi su indicazione di Frontex.
E l’uomo si muove pure sul piano politico a livello regionale. Non è un mistero che ha rafforzato i legami con gli Emirati Arabi Uniti con i quali sostiene le milizie del generale Hemeti in Sudan, fornendo loro armi. Una collaborazione che fa scricchiolare la storica alleanza con l’egiziano al-Sisi che preferisce Khalid Haftar a Saddam nell’area che considera strategica per i suoi interessi.
Piantedosi, spogliato da ogni riserva etica, si basa solo sull’aritmetica dell’approccio contenitivo del fenomeno migranti.