A inizio marzo in occasione di un summit ad Algeri il Senegal è diventato ufficialmente membro osservatore del Forum dei paesi esportatori di gas (GECF). Il suo ingresso porta a 20 il numero degli stati membri dell’organismo internazionale, fondato nel 2001 a Teheran e che oggi rappresenta il 70% delle riserve mondiali accertate di gas e il 51% delle esportazioni mondiali di gas naturale liquefatto (GNL).
Negli ultimi anni in Senegal sono stati scoperti vasti giacimenti offshore sia di petrolio che gas. Nei blocchi Rufisque e Sangomar, a largo della costa occidentale del paese, si stima la presenza di oltre un miliardo di barili di petrolio. Mentre il giacimento di gas naturale Grand Tortue Ahmeyim (GTA), al confine con la Mauritania, conterrebbe in profondità 900 miliardi di metri cubi.
In un rapporto pubblicato a fine settembre 2022, la Banca Mondiale ha dichiarato che l’entrata in produzione di questi giacimenti avrebbe quasi raddoppiato la previsione di crescita dell’economia senegalese tra il 2022 (+4,7% secondo il FMI) e il 2024. Ma le attività estrattive, che sarebbero dovute partire entro la fine del 2023, non sono ancora iniziate.
In attesa di poter sfruttare questi nuovi giacimenti per soddisfare l’aumento della domanda interna e aumentare l’export di idrocarburi, il Senegal è costretto a rivolgersi all’estero. Dall’invasione russa dell’Ucraìna del febbraio 2022 e con le sanzioni imposte dall’Occidente, Mosca ha virato buona parte dell’esportazione dei propri prodotti petroliferi raffinati verso l’Africa. E alla lista dei primi acquirenti – Nigeria, Marocco, Tunisia e Libia – si è presto aggiunto anche il Senegal.
Nel 2023 Dakar ha importato 1,08 milioni di tonnellate di olio combustibile russo e 550mila tonnellate solo tra gennaio e febbraio 2024, stando a quanto segnalato dall’agenzia Reuters. Sono aumentate anche le importazioni di diesel, raggiungendo circa 0,2 milioni di tonnellate dall’inizio di quest’anno, rispetto a 0,8 milioni acquistate nell’intero 2023.
Ora che la Russia, a partire dal primo marzo e per i prossimi sei mesi, ha introdotto uno stop temporaneo alle sue esportazioni di benzina – formalmente per stabilizzare il mercato interno ma di fatto per mettere in difficoltà i paesi occidentali innescando un aumento dei prezzi – il Senegal ha bisogno di accelerare i tempi per la messa in funzione dei propri giacimenti.
La Société africaine de raffinage (SAR), con sede a Mbao, nei pressi di Dakar, è proprietaria dell’unica raffineria di petrolio del paese. Ha una capacità di 1,5 milioni di tonnellate di greggio raffinato all’anno ma dovrà attendere almeno la seconda metà del 2024 prima di ricevere materia prima da lavorare dai giacimenti Sangomar e Greater Tortue Ahmeyim.
Il governo senegalese si dice ottimista. Secondo Antoine Félix Abdoulaye Diome, ministro senegalese del Petrolio e dell’Energia, i lavori nel giacimento di Sangomar sono attualmente al 95%, mentre quelli di GTA al 92%.
Quest’ultimo giacimento, di proprietà di British Petroleum (61%) e Kosmos Energy (29%), in partnership con la società pubblica senegalese Petrosen e con quella mauritana SMHPM (10%), è fermo a causa di una disputa legale con l’azienda americana McDermott, specializzata nell’erogazione di servizi per l’industria petrolifera e accusata da BP di aver rallentato il completamento del progetto.
Al pari della pesca, la questione dell’approvvigionamento energetico e delle esportazioni di idrocarburi è tra gli argomenti più dibattuti in Senegal alla vigilia delle elezioni presidenziali del 24 marzo. Diversi candidati chiedono di rivedere i contratti per le forniture di petrolio e gas firmati dal governo uscente guidato dal presidente Macky Sall, in carica dal 2012, con le società straniere.