Ha suscitato reazioni negative da parte di alcuni membri del governo di Kinshasa la coraggiosa denuncia che il cardinale Fridolin Ambongo Besungu, arcivescovo di Kinshasa, ha fatto riguardo al graduale degrado nelle regioni orientali della Repubblica democratica del Congo, in seguito al conflitto e alle violenze perpetrate anche verso la popolazione da decine di gruppi armati.
Una recente intervista da lui rilasciata all’agenzia Fides è stata interpretata dalle autorità governative come un’accusa diretta alle autorità civili, basata su tesi e argomenti di altrettante denunce contro Kinshasa da parte di nazioni attualmente in conflitto con la Rd Congo.
Un chiarimento al riguardo è stato fatto dalla stessa agenzia, secondo la quale le parole del cardinale sono state interpretate in modo errato. Ha infatti negato che il prelato abbia mai detto, ad esempio, che “il governo ha distribuito armi aggiuntive a diversi gruppi armati come gli wazalendo e ad alcuni membri delle Forze di liberazione del Rwanda (FDLR)”.
E ha voluto precisare la vera posizione di mons. Fridolin, che si pronuncia anche in nome dei vescovi del paese.
Il cardinale denuncia infatti che:
1) la guerra nella Rd Congo è causata dall’intento predatorio delle ricchezze del suolo e del sottosuolo da parte di entità e governi stranieri, così come dalla volontà espansionista di alcuni dei suoi vicini, compreso il Rwanda.
2) La guerra beneficia della complicità interna di agenti congolesi.
3) L’insicurezza generale e l’aumento di profughi e rifugiati avviene soprattutto a causa della proliferazione dei gruppi armati.
4) La soluzione alla crisi regionale non può essere di natura militare, ma deve passare essenzialmente attraverso il dialogo tra congolesi, altri governi e comunità internazionale.
Certamente la denuncia del presidente dei vescovi congolesi riguarda anche iniziative internazionali e decisioni che appaiono forme di “neocolonialismo”.
Ad esempio lo scorso 21 marzo, il card. Ambongo aveva denunciato con chiarezza l’accordo firmato tra l’Unione Europea e il Rwanda «per lo sfruttamento delle materie prime e di altre risorse che, in realtà, non si trovano in Rwanda ma nell’est della Rd Congo».
«Questo – aveva sottolineato l’arcivescovo di Kinshasa – è intollerabile e crea molta confusione in una regione, quella dei Grandi Laghi, che vive già forti tensioni».
Nella recente intervista il cardinale dichiarava: «Sempre più critica appare la situazione a Goma, capitale del Nord Kivu, nell’est del paese, dove i guerriglieri dell’M23 (sostenuti dal Rwanda, ndr) hanno ripreso le armi dal 2021 e hanno occupato diverse città. Ciò che temiamo di più è il rischio di insicurezza generale, soprattutto a Goma ma anche in generale in tutta la regione orientale».
Il cardinale menzionava tra l’altro il gruppo wazalendo (“patrioti” in lingua kiswahili), una coalizione di gruppi che hanno imbracciato le armi per difendere la popolazione contro l’M23.
Il fondatore del gruppo, Éphraïm Bisimwa, leader di una setta messianica locale, era stato condannato a morte lo scorso ottobre in seguito a gravi incidenti avvenuti il 30 agosto 2023 durante proteste contro la presenza dei caschi blu della missione ONU (MONUSCO) nel paese e a Goma, dove rimasero uccise oltre 50 persone.
«L’arresto e la condanna a morte del leader di wazalendo – aveva detto il cardinale – ha dimostrato che questo gruppo non è omogeneo. Alcuni dei suoi seguaci sono entrati addirittura nelle file dell’M23. È difficile controllare questi gruppi armati, che fanno capo a molti leader».
E aggiungeva: «I gruppi armati d’ogni sorta, alla fine diventano un pericolo per la popolazione, estorcono denaro ai cittadini, commettono rapine e omicidi, e si dedicano al commercio illegale di minerali estratti nelle miniere artigianali della regione».
I vescovi della provincia ecclesiastica di Bukavu, nel Sud Kivu, hanno diffuso a metà aprile una lettera pastorale che presenta un’analisi critica molto chiara della realtà nell’est del Congo.
«La Chiesa stessa nella regione opera in condizione di grande pericolo – ha sottolineato Fridolin – e i vescovi della provincia di Bukavu, come tutti noi a livello nazionale della Conferenza episcopale congolese (CENCO), abbiamo deciso di sostenere la popolazione in questo momento difficile. Questo è ciò che la Chiesa sta cercando di fare, pur nelle condizioni estremamente critiche in cui tutti si trovano immersi».