L’accesso al mare è certamente una delle questioni più scottanti per la regione che si estende dal Corno all’Africa orientale, dove diversi paesi – Etiopia, Rwanda, Burundi, Uganda, Sud Sudan – hanno confini solo terrestri.
In Etiopia – il secondo paese per numero di abitanti e una delle economie in più veloce crescita del continente, nonostante l’instabilità che lo caratterizza – l’accesso diretto al mare è considerato come fondamentale per lo sviluppo economico ed è tra le massime priorità del governo, come ha più volte dichiarato il primo ministro Abiy Ahmed.
All’inizio di quest’anno il governo di Addis Abeba ha pensato di poter risolvere il problema grazie ad un accordo con il Somaliland, paese che si dichiara indipendente dal 1991, ma che è considerato come regione autonoma della Somalia non solo dal governo di Mogadiscio, ma anche dalla comunità internazionale.
Il patto prevede l’affitto per 50 anni di una ventina di chilometri di costa attorno al porto di Berbera per stabilirci una base della marina militare e attività commerciali, in cambio di un futuro riconoscimento dell’indipendenza.
Come era prevedibile, l’intesa ha provocato un grave stato di tensione con la Somalia che è sfociato, all’inizio di aprile, nell’espulsione dell’ambasciatore e nella chiusura delle rappresentanze consolari etiopiche nel paese.
L’idea di consegnare la sovranità di un tratto strategico di territorio ad un paese straniero per mezzo secolo non è piaciuta neppure nello stesso Somaliland, tanto che i parlamentari hanno chiesto il ritiro dell’accordo già firmato dal presidente, perché, a loro parere, è contrario all’interesse del paese. E dunque, per ora, il disegno di Abiy è stato bloccato.
Direttamente interessato all’intesa marittima in discussione anche Gibuti, i cui due porti, quello storico di Gibuti e quello più recente di Tadjoura, hanno assicurato la quasi totalità del traffico commerciale dell’Etiopia dagli anni Novanta – precisamente dall’indipendenza dell’Eritrea – costituendo un’entrata notevole per il bilancio del paese. L’apertura di un’altra via potrebbe tradursi in una perdita secca per l’economia gibutina.
L’ipotesi di un trattato regionale
Sembra dunque che la questione dell’accesso al mare dell’Etiopia non possa essere risolta sbrigativamente, con un accordo bilaterale.
Lo pensano anche gli altri paesi della regione, e in particolare il Kenya, che dopo aver consultato Gibuti e l’IGAD, l’organizzazione regionale per lo sviluppo, ha recentemente avanzato l’idea di un trattato regionale che definisca i modi in cui gli stati del blocco con confini solo terrestri possono accedere ai porti per ragioni commerciali.
Secondo Korir Sing’oei, sottosegretario al ministero degli Esteri di Nairobi ed esperto di diritto internazionale, l’IGAD avrebbe il ruolo diplomatico e la capacità politica per formulare un simile trattato che allenterebbe nell’immediato il pericoloso contenzioso tra Mogadiscio ed Addis Abeba, garantendo la sovranità territoriale della Somalia e un accesso al mare stabile e sicuro all’Etiopia. Inoltre contribuirebbe in modo significativo alla stabilità dell’intera zona.
L’idea è stata discussa alla metà di aprile a Nairobi dai presidenti di Kenya e Somalia, William Ruto e Hassan Mohamud. Anche il primo ministro etiopico la starebbe esaminando. Se fosse considerata in modo positivo, si passerebbe alla fase dell’elaborazione del trattato.
Intanto Kenya ed Etiopia stanno rafforzando i propri rapporti diplomatici ed economici. Lo scorso febbraio Abiy Ahmed è stato in visita ufficiale a Nairobi dove sono stati siglati “Sette superbi protocolli d’intesa”, come titolava il Daily Nation il 29 febbraio.
Torna in auge il Corridoio Lapsset
Tra l’altro, è proseguita la discussione su come facilitare il traffico commerciale tra i due paesi, compreso l’uso del porto kenyano di Lamu. Il ministro etiopico dei Trasporti e della Logistica, Alemu Sime, in un’audizione al parlamento di Addis Abeba, aveva già sottolineato l’intenzione di differenziare le rotte commerciali per ridurre la sua pesante dipendenza dai porti di Gibuti.
Aveva proseguito dichiarando che il porto di Lamu avrebbe potuto essere usato, tra l’altro, per esportare bestiame e altri prodotti agricoli attraverso il confine meridionale e dunque facilitando le regioni a sud del paese. I primi beni importati, invece, dovrebbero essere i fertilizzanti che dovrebbero arrivare a Lamu prossimamente.
Lamu, sulla costa del Kenya, in prossimità del confine con la Somalia, è il terminal marittimo del complesso di infrastrutture conosciuto come Lapsset Corridor che dovrebbe facilitare i movimenti di uomini e merci di Etiopia e Sud Sudan verso il Kenya e la costa dell’Oceano Indiano, facilitando le comunicazioni e lo sviluppo nella regione.
L’imponente progetto prevede la modernizzazione e l’ingrandimento del porto di Lamu, la costruzione di autostrade, oleodotti, ferrovie, aeroporti, centri urbanizzati con strutture moderne per l’accoglienza, l’istituzione di zone economiche speciali e il rafforzamento dei servizi necessari, come la produzione e distribuzione di energia elettrica.
La sua realizzazione procede a rilento per cause diverse, tra cui: la crisi economica dovuta alla pandemia e ai conflitti in Ucraìna e a Gaza, che hanno un forte impatto sulla regione; i problemi interni ai diversi paesi coinvolti, in particolare l’instabilità in Etiopia e in Sud Sudan; la sicurezza, dal momento che la zona è influenzata dalle attività terroristiche del gruppo qaedista somalo al-Shabaab.
I problemi suscitati dall’accordo tra l’Etiopia e il Somaliland potrebbe essere un punto a favore per la velocizzazione dei progetti del Lapsset Corridor. Non è neppure da escludere che il trattato proposto dal Kenya lo consideri come una sorta di “progetto pilota” da estendere anche ad altri paesi della regione e con simili terminal in altri punti della costa dell’Oceano Indiano.