I media internazionali, quelli più influenti a livello mondiale, quanto spazio dedicano all’Africa? Come raccontano il continente e quanto diversificate sono le fonti di riferimento? A queste domande risponde il primo Global Media Index per l’Africa realizzato da The Africa Center e Africa No Filter, entrambe realtà impegnate a costruire e diffondere una nuova narrativa sul continente.
Una narrativa libera da stereotipi, completa e aperta a visioni nuove e originali. E, come si sa, il giornalismo e la copertura delle notizie determinano notevolmente la conoscenza e il modo di percepire il continente.
L’analisi ha indagato sulle coperture on line di 20 delle più importanti testate mondiali. Vale a dire CNN, Deutsche Welle, Russia Today, Bloomberg, Xinhua, Le Monde, The Guardian, Wall Street Journal, Associated Press, Al Jazeera, The Economist, New York Times, VOA News, AFP, Reuters, BBC, CGTN, Financial Times, RFI e Washington Post.
Nell’arco di sei mesi sono stati analizzati oltre 1.000 articoli, valutati in base a quattro indicatori chiave: diversità degli argomenti trattati nelle storie, gamma di fonti intervistate e citate in ciascuna storia, numero di paesi africani coperti nel periodo di analisi, approfondimento della copertura.
Sotto esame anche la capacità di contestualizzare le notizie e l’equilibrio nel trattarle, nonché gli eventuali stereotipi utilizzati nella narrazione.
Bocciati i media statunitensi
Il migliore risulta il britannico The Guardian, al primo posto nell’indice per la copertura complessiva del continente, con un punteggio del 63%. Primo anche per la diversità degli argomenti trattati (57%). Subito dopo le agenzie AFP e Reuters, con punteggi rispettivamente del 61% e del 60%. L’agenzia di stampa francese è risultata migliore anche per aver coperto la maggior parte dei paesi africani (56%).
I media statunitensi sono quelli con le valutazioni più basse. Praticamente in fondo all’indice, 18°, 19° e 20° posto. Si tratta del New York Times, del Wall Street Journal e del Washington Post. A dimostrazione probabilmente che l’interesse geopolitico degli USA è rivolto altrove. E così quello dei giornalisti statunitensi.
Economia e politica raccontate dai potenti
Gli analisti che hanno lavorato a questo indice fanno notare che, senza eccezioni, “i media globali oggetto di questo studio hanno dedicato uno spazio sproporzionato agli uomini potenti – dai politici agli uomini d’affari agli esperti – come fonti di notizie primarie nelle loro storie sull’Africa, dimostrando che gli uomini continuano a dominare le notizie in Africa e sull’Africa”.
Altro aspetto, che in realtà non stupisce, è che la maggior parte dei media analizzati hanno coperto in modo approfondito solo pochissimi paesi africani nei loro articoli o reportage. E che i media globali tendono a concentrarsi sull’economia e sulla politica di quei paesi che sono allineati con gli interessi occidentali – meglio ancora con la propria nazione -, trascurando gli altri.
Ulteriore dimostrazione che giornalisti e giornali trattano ancora l’Africa come un “grande paese” e non come un continente in cui ogni paese ha la sua storia, eventi, complessità.
In particolare, l’indice colloca all’ultimo posto per questo aspetto il Wall Street Journal. In questo media difetta anche la “diversità degli argomenti”. In generale, le notizie dal continente africano rimangono soprattutto quelle riferite alla politica, la povertà, la corruzione e altri argomenti negativi correlati a questi temi principali.
Scarsa attenzione dunque alla cultura, le arti, l’innovazione, la tecnologia e altri argomenti più positivi e che mettono in luce le cose belle (e le persone che le realizzano) che accadono nel continente. Anche per questa voce è un media americano a occupare l’ultimo posto dell’index. Si tratta del Washington Post.
Poche voci dal basso
Dal lavoro emerge inoltre che nella stragrande maggioranza degli articoli diffusi in rete mancano le voci degli africani comuni.
Il giornalismo globale continua dunque a privilegiare le voci delle potenti élite – soprattutto uomini come si diceva – sia locali che internazionali. Parliamo di esperti, politici, leader, organizzazioni. Mentre la voce delle persone comuni rimane inascoltata e questo evidentemente porta ad una sorta di emarginazione di categorie come i giovani, le donne, i leader tradizionali.
Cosa pensano, quali sono le loro storie, le loro aspettative? Difficile saperlo visto il poco spazio, o addirittura nullo in molti casi, che viene loro dato. È anche in questo caso è The Guardian a risultare “alternativo” rispetto alle altre testate. La gamma di voci diverse nei suoi articoli è la più alta.
Al contrario, Russia Today risulta quella che dà meno spazio a “voci comuni”. Va meglio, per tutti i media analizzati, alla voce “approfondimento della copertura delle notizie”. Si evidenzia un buon punteggio rispetto a fattori che riguardano l’equilibrio nella narrazione e la capacità di inquadrare e contestualizzare il contesto.
I migliori in questo senso risultano Deutsche Welle e Le Monde. In basso nella lista, in questo caso, il media cinese CGNT e il Washington Post. Quest’ultimo incapace di offrire informazioni dettagliate per aiutare la comprensione del lettore di una determinata notizia e scarso nei collegamenti ipertestuali e nelle sezioni di contesto all’interno delle stesse.
E infine, gli stereotipi. Chi riesce ad evitarli di più è l’agenzia di stampa cinese, la Xinhua. Ultimo posto assoluto per l’Economist. Insomma, se nessun media può fare a meno di interessarsi del continente africano e di raccontarlo, i modi per farlo possono (e devono) essere modificati, ampliando prospettive, temi, punti di vista (cosa che vale anche per l’Italia). E cambiare così l’impatto sui lettori e nello stesso tempo le percezioni sul continente.