Il lato nigerino della frontiera fra Niger e Benin resta chiuso e quindi il greggio nigerino diretto in Cina resta fermo sulle coste beninesi, punto di arrivo di un oleodotto che trasporta il petrolio dal deserto di Niamey fino alla località costiera di Sèmè-Kpodji, situata nei pressi del porto di Cotonou. Questi, in poche parole, gli elementi salienti di uno stallo diplomatico e commerciale in corso da mesi fra i due paesi del Sahel. La crisi non sembra avviarsi verso una soluzione nonostante l’intervento come mediatore di Pechino, che ha costruito l’oleodotto, noto come Niger–Benin Oil Pipeline (NBEP), e che con la sua azienda statale China National Petroleum Corporation (CNPC) è appunto il destinatario del greggio che questa infrastruttura trasporta.
Il NBEP è stato ultimato nel 2023, dopo circa quattro anni di lavori. L’oleodotto si snoda per quasi 2mila chilometri dai giacimenti del deserto di Agadem fino all’Oceano Atlantico e ha una capacità prevista di circa 90mila barili al giorno. L’infrastruttura è entrata in funzione a marzo ma a oggi un solo carico è partito dalle coste beninesi. Il flusso di greggio è stato infatti rallentato – non solo simbolicamente – dalle schermaglie diplomatiche fra i due paesi.
L’onda lunga del golpe
L’inizio delle tensioni è rintracciabile nella decisa reazione beninese al colpo di stato militare che nell’agosto 2023 ha deposto l’ex presidente del Niger, Mohamed Bazoum. Dopo il golpe il presidente del Benin Patrice Talon è stato uno dei promotori di una soluzione militare a guida Comunità economica degli Stati dell’Africa occidentale (ECOWAS/CEDEAO) per favorire il ristabilimento dell’ordine costituzionale. Questa eventualità non si è poi concretizzata ma il solo averlo tirato in ballo da parte del Benin ha contribuito alla decisione nigerina di chiudere le frontiere. Il provvedimento è stato di fatto complementare a quello beninese, che ha serrato i confini nell’ambito delle sanzioni imposte dalla CEDEAO.
Le misure punitive del blocco regionale sono state poi rimosse lo scorso febbraio. Porto-Novo ha quindi riaperto le frontiere. Niamey non ha però ricambiato la cortesia, lamentando problemi di sicurezza. L’accusa sembrava inizialmente vaga ma ha preso più sostanza pochi giorni fa, quando il primo ministro nigerino Ali Mahaman Lamine Zeine ha sostenuto che il Benin ospiterebbe basi militari francesi in cui vengono addestrati miliziani pronti a destabilizzare il Niger. Secondo il premier, alcuni «terroristi» avrebbero già attaccato a fine maggio una base militare a Boni, che dal confine col Benin dista più 315 chilometri nel suo punto più vicino.
Insomma, la questione tocca alcuni nodi cruciali di quelli che segnano l’attuale scenario politico del Niger, in modo particolare i rapporti con la Francia e la minaccia delle attività di gruppi armati non statali, attivi sin modo particolare nella regione cosiddetta delle “tre frontiere” con Mali e Burkina Faso.
Pechino media
Il Benin dal canto suo ha reagito alla decisione nigerina di non riaprire i confini bloccando l’ingresso in porto e quindi le operazioni di carico delle navi che dovrebbero portare il greggio nigerino in Cina. Porto Novo, a detta del presidente Talon, lamenta l’impossibilità di gestire un commercio del genere in assenza di dogane pienamente funzionanti e di un contesto di relazioni bilaterali ben definito e ufficiale. La prova della buona fede beninese risiederebbe nel fatto che lo scorso 16 maggio le autorità del paese hanno autorizzato la partenza del primo carico col greggio proveniente dal NBEP, dopo una richiesta ufficiale straordinaria a questo fine partita da Niamey.
Dopo questo prima gesto di apparente distensione, più nulla. La Cina sta mediando fra i due paesi e l’ambasciatore di Pechino in Benin, Peng Jingtao, si è detto fiducioso nello scioglimento dello stallo dopo un colloquio con Talon che si è tenuto nei giorni scorsi. I negoziati coordinati dalla Cina hanno in realtà prodotto anche dei danni collaterali: durante i giorni dei colloqui il ministro delle miniere beninese Samou Seïdou Adambi, si è recato a Niamey con una lettera rivolta al presidente nigerino, il generale di brigata Abdourahamane Tchiani, guida della giunta militare che si è instaurata dopo il golpe. Il capo di stato non ha però incontrato il rappresentante beninese, che ha potuto interloquire solamente col ministro della salute, il colonnello Garba Hakimi, ufficialmente per mere ragioni di agenda del presidente. Il gesto delle autorità del Niger è stato interpretato però come uno sgarbo dal governo del Benin, finendo col peggiorare la già complessa situazione fra i due vicini saheliani.