Per la prima volta nella sua storia la Corea del Sud ha convocato leader da tutta l’Africa con l’idea di lanciare una nuova fase nelle relazioni economiche e commerciali con il continente. L’incontro che ne è derivato è stato ribattezzato “Korea-Africa summit” e si è tenuto ieri e oggi 5 giugno nei pressi di Seoul. All’iniziativa hanno partecipato 48 delegazioni africane, di cui almeno 25 rappresentate da capi di stato o di governo. Presenti in Corea, fra gli altri, il presidente kenyano William Ruto, il capo di stato rwandese Paul Kagame e il presidente della Mauritania nonché leader di turno dell’Unione Africana, Mohamed Ould Ghazouani.
Seoul ha stabilito le sue prime relazioni diplomatiche con paesi africani nel 1961, nel pieno della guerra fredda e otto anni dopo la fine della guerra civile fra il nord comunista e il sud filo-occidentale, durata dal 1950 al 1953. Due paesi africani parteciparono al conflitto inviando soldati a sostegno delle truppe sudcoreane: il Sudafrica e l’Etiopia. Il contributo africano alla guerra è stato ricordato anche dalle autorità sudcoreane in occasione del summit. Dal 2006 a oggi i rapporti con il continente sono stati definiti perlopiù dalla “Korean initiative for the development of Africa”, lanciata durante il governo del presidente Roh Moo-hyun. Con il summit che si è tenuto in settimana però, a cambiare sembra essere soprattutto l’entità dell’impegno che il paese asiatico è disposto a prendersi nel continente.
24 miliardi per l’Africa
Nel complesso, l’attuale capo di stato sudcoreano Yoon Suk Yeol ha annunciato risorse per 24 miliardi di dollari. Dieci miliardi di dollari sono l’ammontare complessivo degli aiuti allo sviluppo che Seoul invierà in Africa fino al 2030 – aumentando in modo sensibile le cifre stanziate a oggi – mentre 14 miliardi di dollari verranno messi a disposizione delle aziende sudcoreane per investire in Africa. I fondi annunciati mirano a far aumentare il peso specifico e le attività di Seoul nel continente, che sono in crescita da anni me che nel complesso restano abbastanza scarse: il commercio fra Corea e paesi africani costituisce appena meno del 2% del totale delle importazioni e delle esportazioni della nazione asiatica mentre gli investimenti sudcoreani in Africa rappresentano lo 0.5% del totale degli investimenti diretti globali del paese.
Durante la due giorni di lavori, inoltre, sono stati siglati 47 accordi bilaterali e 23 memorandum d’intesa fra la Corea del Sud e 23 paesi africani. Le intese, stando a quanto riporta la stampa coreana, si sono concentrate nei settori manufatturiero, minerario, delle infrastrutture e dell’energia.
Le tre coordinate di base di questo nuovo orizzonte di azione nel continente da parte di Seoul sono: crescita condivisa, sostenibilità e solidarietà. L’equazione alla base di questo impegno è però principalmente una, ed è una formula ben nota: la Corea del Sud è pronta a cedere know-how e a sostenere lo sviluppo infrastrutturale e industriale dell’Africa. Il continente, in cambio, deve mettere sul piatto le tante risorse del suo sottosuolo, a partire da cobalto, nickel, grafite e litio. Minerali fondamentali per la transizione energetica e quindi per i settori che costituiscono il cuore dell’economia e delle esportazioni di Seoul, ovvero la produzione di semiconduttori e quella automobilistica. Multinazionali sudocoreane come Samsung sono attive in Africa da anni e sono state anche accusate più volte di contribuire allo sfruttamento e alle violazioni dei diritti umani che si verificano nella regione, e in modo particolare della Repubblica democratica del Congo.
Una delle novità più rilevanti a emergere dal summit proviene proprio dall’istituzione di una piattaforma denominata “Dialogo Corea-Africa sui minerali critici”, ovvero quelli necessari per realizzare le tecnologie chiave della transizione energetica e al contempo più delicati in termini di approvvigionamento. Lo strumento, si legge una dichiarazione congiunta pubblicata durante il summit dal governo coreano e dall’Unione Africana, «servirà come importante base istituzionale» per «potenziare gli sforzi di cooperazione per assicurare la stabilità dell’approvvigionamento di minerali critici e promuovere la collaborazione tecnologica». Nelle intenzioni del presidente Yoon, questo spazio di confronto «contribuirà allo sviluppo sostenibile delle risorse minerarie in tutto il mondo».
Durante il summit inoltre, Seoul ha siglato un accordo con la Tanzania che prevede la concessione di prestiti agevolati dal valore di 2,5 miliardi di dollari per cinque anni a Dodoma in cambio dell’accesso a risorse ittiche e minerarie. La Corea ha anche annunciato prestiti dal valore di un miliardo di dollari a favore dell’Etiopia.
Piano Mattei in versione coreana? Non proprio
Al di là delle cifre, il summit coreano presenta diversi aspetti interessanti, soprattutto se comparato con l’ultimo forum in ordine di tempo fra quelli che hanno visto a confronto più paesi africani e un solo partner internazionale. Il riferimento è al Piano Mattei e alla Conferenza Italia-Africa che il governo di Roma ha convocato a fine gennaio.
Innanzitutto, la forma: Seoul ha organizzato il congresso in un centro fieristico a Goyang, nell’area metropolitana della capitale, e non in una sede istituzionale come fatto invece dall’Italia, che ha ospitato i leader africani in Senato. Inoltre, il paese asiatico non ha presentato un “piano” per l’Africa, ma proposto una due giorni di meeting bilaterali e plenarie. L’approccio, si capisce, risulta molto più orientato al business e molto meno paternalistico di quello mostrato dal governo Meloni. La cui iniziativa, per altro, è stata elaborata senza la partecipazione dei partner africani. Un comportamento incoerente questo, con l’approccio «paritario e non predatorio» che in teoria doveva informare il piano nelle intenzioni di Roma.
Seoul si è poi fatta dare una mano dalla storia, impiegando anche in questo caso una retorica che usa tradizionalmente nelle relazioni con l’Africa: il paese asiatico ha un passato di povertà e di dipendenza dagli aiuti internazionali ed è stato pure sottoposto al giogo coloniale (quello giapponese) come molti paesi del continente. In 50 anni però, dagli anni ’60 in poi, il prodotto interno lordo del paese è aumentato di circa 200 volte. Un “miracolo”, reso possibile prima dallo sviluppo industriale e poi dalla crescita di alcuni settori chiave, come quello tecnologico, che secondo il paese asiatico può costituire un modello da seguire per l’Africa e la cui validità è stata ribadita anche in occasione di quest’ultimo forum.
Nonostante questi aspetti positivi, anche il summit sudcoreano è stato accolto negativamente da alcuni analisti e giornalisti africani, come avvenuto per il Piano Mattei. Larry Madowo, volto kenyano di Cnn, è tornato ad attaccare la natura stessa di questi summit, replicando accuse già mosse all’iniziativa nostrana: «Venitevi a riprendere i vostri leader», ha scritto ironicamente su X pubblicando la foto dei capi di stato e governo africani in Corea. «Non capisco perché – ha proseguito il cronista – presidenti africani debbano essere convocati uno a uno quando esiste l’Unione Africana».